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Channel: WhiteRussian: cinema (e non solo) all'ultimo sorso
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Fucking Amal - Il coraggio di amare

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Regia: Lukas Moodysson
Origine: Svezia, Danimarca
Anno: 1998
Durata: 89'





La trama (con parole mie): in una piccola cittadina svedese, due adolescenti vivono destini diametralmente opposti. Elin è considerata una delle più attraenti e ribelli della scuola, cambia ragazzo senza alcuna fatica, insieme alla sorella non esita a buttarsi in feste ed avvenimenti considerati mondani e sogna di abbandonare il paese.
Agnes, trasferitasi da due anni, ancora fatica ad avere amici, coltiva un rapporto non risolto con i suoi genitori e nasconde al mondo il proprio amore per Elin.
Quando, a seguito di una scommessa e di ripicche adolescenziali tra amici e fidanzati di turno, Elin finge di manifestare interesse per Agnes arrivando a baciarla, si innesca tra loro un rapporto che porterà le due ragazze a rivedere completamente il proprio punto di vista ed il rapporto con il mondo.






Esistono alcuni titoli che è un peccato non poter cogliere nel momento giusto della propria vita di spettatori, quando le sensazioni, la vita e qualunque altra cosa sia in ballo in quell'istante potrebbe rendere l'esperienza unica e speciale: è il caso di Fucking Amal, uscito sul finire degli anni novanta e spesso e volentieri incensato dalla critica alternativa come sguardo unico e diverso nel mondo del Dogma nato in Danimarca pochi anni prima, incentrato sui turbamenti adolescenziali delle giovanissime Agnes ed Elin, così diverse tra loro da finire per esercitare l'una sull'altra non solo un'influenza, ma anche un'irresistibile attrazione.
Con ogni probabilità, infatti, se avessi incrociato il mio cammino con quello del lavoro di Moodysson ai tempi della sua uscita, non ancora ventenne, ora considererei questo come uno dei titoli di formazione cui non si smette mai di voler bene, e che finiscono per occupare un posto speciale nella propria galleria di amarcord emozionale: un vero peccato, dunque, averlo recuperato solo ora, per giunta in occasione della Blog War con la mia nemesi Cannibal Kid - e dunque neppure nelle condizioni migliori, considerato di essere costretto, "per doveri di cronaca e personaggio", a sottolinearne più i difetti che non i pregi -, quando i ricordi dell'adolescenza cominciano a diventare vaghi e la sensazione che, ai tempi, per dirla come Guccini, "si è stupidi davvero", e dunque inesorabilmente destinati a propendere per scelte che in seguito verranno altrettanto inesorabilmente rinnegate.
Ad ogni modo, il lavoro del buon Moodysoon è ben svolto, e seppur tecnicamente non eccelso saggiamente costruito attorno alle due splendide protagoniste, una sorta di sorelline minori delle interpreti del più recente ed incisivo La vita di Adele, nonchè attento a portare in scena una problematica ai tempi ancora poco analizzata come quella dei rapporti omossessuali in età non adulta ed all'interno di uno degli ambiti più crudeli che si possano immaginare: quello della scuola.
In questo senso, più che la più timida e complessata Agnes risulta interessante la ribelle Elin, dal rapporto decisamente non risolto con la sorella a quello con i ragazzi fino al legame costituitosi quasi per caso con Agnes stessa, nato da una scommessa e divenuto uno di quei "dolori" destinati a segnare l'adolescenza e, chissà, forse l'intera esistenza di chi lo vive.
Il vero pregio di questo film è proprio da ricercare nella semplicità attraverso la quale il regista sceglie di raccontare questa improbabile storia d'amore, sia che si parli di girato che di narrazione, quasi come fosse un Ken Loach privo del carico di dramma che, di norma, il cineasta anglosassone porta in eredità al suo pubblico: una scelta che mi trovo a condividere, considerato che, con tutti i suoi alti e bassi, l'adolescenza e quello che la stessa comporta - soprattutto le storie d'amore - dovrebbe essere vissuta come una gioia, perchè nient'altro nel corso della vita avrà, in un certo senso, la stessa intensità e portata.
Peccato che, spesso e volentieri, si è troppo stupidi, per l'appunto, per cogliere questa sfumatura nel momento in cui la si ha tra le mani.
Resta dunque da chiedersi se Elin ed Agnes saranno rimaste insieme, se la prima avrà di fatto scoperto la sua attrazione per le ragazze o se, alla lunga, sarà tornata sui suoi passi spezzando il cuore della seconda, o addirittura il contrario.
Oppure poco importa: quello che conta è che le due ragazze siano uscite da quel bagno, incuranti della neppure troppo sottile crudeltà e della malizia dei compagni di scuola, e abbiano camminato a testa alta verso il loro futuro.



MrFord



"I wanna know what love is
I want you to show me
I wanna feel what love is
I know you can show me."
Foreigner - "I wanna know what love is" -




Thursday's child

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La trama (con parole mie): alle spalle mesi di letargo della settima arte, con l'avvicinarsi della fine dell'anno finalmente qualcosa pare cominciare a muoversi, e dopo il successo planetario di Guardiani della galassia e lo splendido Boyhood ci prepariamo ad affrontare una settimana resa decisamente importante dal ritorno sul grande schermo di Christopher Nolan con il suo attesissimo Interstellar.
Riuscirà l'illusionista del Cinema a stupire di nuovo pubblico e critica? E soprattutto, riuscirà a mettere d'accordo, nel bene o nel male, i due rivali di sempre Ford e Cannibal Kid?


"Altro che Ford: le canto io, a quel pusillanime di Peppa Kid!"

Interstellar

"Ford e Cannibal d'accordo: il solo pensiero mi fa male."
Cannibal dice: A dispetto del titolo, Interstellar non è un film sull'Inter e non è nemmeno un film su una grande stella del mondo dei blog come me. Si tratta invece della nuova ambiziosa pellicola di Christopher Nolan, un regista di cui ho apprezzato tutti i lavori, a parte il piuttosto inutile Il cavaliere oscuro – Il ritorno, ma che allo stesso tempo, per quanto abbia adorato soprattutto Inception e The Prestige, ancora non mi ha regalato un cult personale assoluto. Riguardo a questo Interstellar, che vanta un gran cast con le garanzie Matthew McConaughey e Jessica Chastain più la non sempre garanzia Anne Hathaway, sono un pochino scettico. Dalle prime cose viste mi pare un pericoloso incrocio tra Gravity e una pellicola in stile Steven Spielberg... cosa che significa che dalle parti di Pensieri Cannibali potrebbe non essere accolto benissimo.
Dalle parti di WhiteRussian so già che probabilmente si urlerà al Capolavoro, ma chi lo sa?
Tutto può succedere, però ho il presentimento che su questo film le posizioni di me e di Ford potrebbero essere distanti anni luce.
Ford dice: Nolan è sempre Nolan, e su questo non c'è alcun dubbio. L'illusionista numero uno del Cinema mainstream, in grado di mescolare l'impatto del blockbuster con l'approccio autoriale torna in sala dopo la parziale delusione che fu Il cavaliere oscuro - Il ritorno, film solo discreto forse schiacciato troppo dalle aspettative.
Onestamente non so cosa accadrà con Interstellar, che da un lato promette faville con un cast di prim'ordine e dall'altro ha sfagiolato un trailer che non mi ha particolarmente entusiasmato: di sicuro farà discutere. E speriamo che lo faccia portando me e Peppa Kid su pianeti diversi.


Get on Up

"Ragazzo, lasciatelo dire: ti vesti e ti pettini peggio di Cannibal!"

Cannibal dice: Le biografie musicali sono sempre ben accette, qui su Pensieri Cannibali. Cosa che non si può dire di WhiteRussian. Personalmente sto ancora aspettando la recensione di James Ford di Jersey Boys, l'ultima fatica del suo idolo Clint Eastwood. Quanto a James Brown e non James Ford, non è mai stato tra i miei idoli musicali totali, però questo film potrebbe farmici avvicinare. Quindi get up, alziamo i culi, e andiamo a vedere questo film!
Ford dice: curioso il fatto che, in un periodo in cui mi sento molto riavvicinato al soul, arrivi in sala un biopic su uno dei suoi re, James Brown. Non che mi aspetti il filmone dell'anno, ma un'occhiata penso potrò darla molto volentieri: a Pensieri cannibali, invece, rinuncio senza pensarci troppo.


Non escludo il ritorno

"A Cannibal, te sparo 'na cinquina dritta in faccia!"

Cannibal dice: Secondo biopic musicale della settimana ma questo, con tutto il rispetto per Franco Califano, dopo aver visto l'agghiacciande trailer escludo di guardarlo. Non escludo invece di mandare Ford a quel paese...
Ford dice: il Califfo è stato un personaggio mitico del panorama musicale italiano, ma il trailer di questa roba mi pare decisamente "troppo italiana" per il sottoscritto. Il Cannibale, invece, è semplicemente troppo incompetente in materia cinematografica, tranne quando giustamente applaude gli stessi film che io giudico come i migliori dell'anno.


Andiamo a quel paese

"Ford e Cannibal ci hanno mandati a quel paese. Con tanto di certificazione."

Cannibal dice: Ficarra e Picone sono diretti allo stesso paese in cui io mando sempre Ford. Sarà un caso?
Di certo io questo film non lo vedrò manco per caso. Ficarra e Fordone non li reggo per pochi secondi a Striscia la notizia, figuriamoci per la durata di un'intera pellicola.
Ford dice: Cannibal, vai pure a quel paese. Insieme a Ficarra e Picone.


Sils Maria

"Qui intorno non c'è anima viva.""Sarà il solito posto scelto da Ford per uno dei suoi weekend survival!"

Cannibal dice: Uh, grande incognita, questo film! Del regista francese Olivier Assayas ho visto poche cose, tra queste ho apprezzato il thriller Demonlover mentre mi ha infastidito quella freakkettonata di Qualcosa nell'aria, e non so bene cosa pensare di lui. Il cast di questo suo nuovo film è curioso, ci sono dentro Juliette Binoche, che in genere non mi piace, Kristen Stewart, che all'infuori della saga di Twilight possiede del potenziale per ora raramente espresso (giusto in The Runaways), e Chloe Moretz, che in genere mi gusta. A ciò si aggiunge un'ambientazione alpina che non mi attira particolarmente, però in questo periodo dell'anno ci può stare. Insomma, Sils Maria potrei adorarlo o potrei detestarlo senza mezze misure. Mentre Ford...
Va beh, sapete già cosa provo per lui.
Ford dice: ho sempre trovato Assayas molto interessante, anche se tra i registi europei un po' radical è forse uno di quelli che conosco meno, per numero di pellicole. Questo non mi pare il suo lavoro migliore, così d'istinto, ma penso che una visione potrei comunque concederla, se capita. Al Cannibale, invece, concedo al massimo due calci rotanti.


Tre cuori

"Ammazza che noia essere radical chic!"

Cannibal dice: Due film francesi nella stessa settimana?
Dovrei essere contento e infatti lo sono. Sono contemporaneamente anche un po' preoccupato, perché l'idillio con il cinema dei cugini negli ultimi tempi si è un po' interrotto. Chissà però che questo dramma ultra radical-chic con Charlotte Gainsbourg, che mi immagino come un Closer francese, non possa riaccendere la passione. Anche perché, e questa è la soddisfazione più grande, un film come questo Ford lo odierà.
Ford dice: con ogni probabilità questa polpettonata radical chic finirà nel grande libro nero delle bottigliate. Tre cuori e una stroncatura.


Doraemon 3D

"Ford e Cannibal ultimamente sono andati troppo d'accordo: cosa possiamo fare, Doraemon?""Non preoccuparti, Nobita, ho qui giusto un nuovo film di Lars Von Trier per sistemare le cose!"

Cannibal dice: Tra i cartoni che si guardano i miei nipotini, Doraemon non è tra i peggiori. Anche perché battere Peppa Pig è dura. Da ammettere ciò, a vedermi un film per giunta con animazione 3D del gatto spaziale ne passa comunque parecchia, di strada. La stessa che separa me dal bambinone Ford, che questa pellicola zitto zitto se la godrà alla grande!
Ford dice: Doraemon, che ricordo anch'io dai tempi, è uno dei cartoni preferiti del Fordino, che spesso e volentieri si lancia anche in balli sfrenati sulla sigla. Peccato che ancora non abbia la tenuta per una visione da film, altrimenti ce lo saremmo schiaffati insieme.


Torneranno i prati

Ford (a sinistra) e Cannibal (a destra) in gita in montagna.

Cannibal dice: Un film di Ermanno Olmi ambientato durante la Prima Guerra Mondiale?
Ma questa è una fordianata che non mi guardo manco se mi minacciano con le bombe!
Ford dice: finalmente, dopo la cannibalata francese che probabilmente mi toccherà massacrare, una bella fordianata vecchio stile firmata da un vecchio Maestro. Il modo migliore per chiudere il weekend.

The Breakfast Club

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La trama (con parole mie): cinque adolescenti che non potrebbero essere più differenti tra loro - una star del football, un secchione, una reginetta, un ribelle dalla fama di poco di buono ed una ragazza dark e problematica - finiscono in punizione sotto l'occhio vigile del preside Vernon, che assegna loro un tema attraverso il quale descriversi ed impone il confine di un'unica aula in cui trascorrere la giornata.
I ragazzi, inizialmente schierati ognuno sulle proprie posizioni e pronti a darsi contro, finiscono non solo per fare fronte comune rispetto al docente, ma anche per scoprire legami che non avrebbero mai pensato di avere proprio con quei compagni di scuola così diversi da loro.
Potrebbe essere, dunque, un nuovo inizio.







Quando, tempo fa, con il mio rivale di sempre Cannibale decidemmo di programmare una Blog War incrociata che permettesse ad ognuno di noi di torturare l'altro con il genere cui era meno avvezzo, temevo che la sua decina di proposte teen mi avrebbe segnato a vita - e per la maggior parte dei titoli, è stato così -: fortunatamente, in mezzo alla robaccia che è stato in grado di propinarmi, si nascondeva una chicca, un cult anni ottanta firmato da John Hughes che ha rappresentato, di fatto, uno dei manifesti di una generazione, e che purtroppo mi rammarico di aver recuperato soltanto in questa occasione.
Ad ogni modo l'incrocio di vite dei giovani Andrew, Claire, Allison, John e Brian nell'aula della punizione pronta ad occupare un sabato che avrebbero voluto passare certamente altrove è stato una sorpresa più che piacevole, un viaggio attraverso le insicurezze, i piccoli drammi e le storie d'amore dell'adolescenza leggero e profondo, in grado di coinvolgere il pubblico più disparato grazie ad una cinquina di personaggi in grado di toccare realtà e modi di reagire - alla punizione, ai genitori, alla vita - così diversi da rendere possibile l'immedesimazione con l'uno o l'altro.
Il percorso che i main charachters compiono rispetto a se stessi e, soprattutto, a chi sta loro attorno è costruito con intelligenza e passione, e riporta ad una dimensione quasi teatrale e da Cinema da camera che rispetto al genere è quasi un'illustre sconosciuta: i confronti che vedono John battersi contro il mondo in modo da non battersi davvero, Andrew lottare per mostrare l'immagine che di lui ci si aspetta, Claire respingere una natura più selvaggia, Allison una più dolce e Brian uscire lentamente dal guscio in cui ogni secchione "sfigato" si ritrova confinato nel periodo delle superiori risultano interessanti ed in grado di coinvolgere anche a distanza di parecchio tempo - nel caso del sottoscritto, sono passati ormai sedici anni dal diploma, non proprio bruscolini -, ricordando momenti esaltanti o tristi di una delle fasi fondamentali e più difficili della vita di ognuno di noi.
Ottimo il cast, costituito da attori che allora furono protagonisti della loro stagione migliore - Molly Ringwood e Anthony Michael Hall - ed altri che avrebbero conosciuto un successo anche maggiore - Emilio Estevez -: peccato per Judd Nelson - il tormentato Bender -, che non ebbe di fatto mai la grande occasione nonostante, in questo caso, fosse il vero volto e l'anima della pellicola.
Il plauso maggiore va comunque a John Hughes, riuscito nell'impresa di regalare una fotografia dei tormenti adolescenziali in grado di uscire dall'epoca in cui è stata scattata - clamorosamente avanti con i tempi la chicca del pranzo a base di sushi di Claire, in netto anticipo con gli attuali e sempre di moda all you can eat - e parlare a più livelli e più generazioni, esprimendo una potenzialità che potrebbe trasformare The breakfast club e la storia dei suoi protagonisti in un cult vintage anche per le generazioni attuali - un pò come accadde per altre pietre miliari del periodo, I Goonies e Stand by me su tutte -.
Considerate le premesse dell'operazione teen e della Blog War, è stato sicuramente interessante scoprire che esiste almeno un film di questo genere in grado di unire perfino due rivali assoluti come il sottoscritto e Cannibal Kid: in qualche modo, è un pò come se fossimo stati anche noi, in quella stanza, e tra una schermaglia e l'altra avessimo imparato che anche nelle nostre differenze e nella nostra lotta c'è qualcosa che il mondo "adulto" non potrà mai capire, e che in qualche modo ci legherà fino a quando non cresceremo.



MrFord



"Don't you forget about me
don't don't don't don't
don't you forget about me."
Simple Minds - "Don't you (forget about me)" -




10 cose che odio di te

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Regia: Gil Junger
Origine: USA
Anno: 1999
Durata: 97'




La trama (con parole mie): Cameron, appena giunto in una nuova scuola, viene guidato dal solerte Michael nella scoperta dei numerosi gruppi più o meno cool dell'ambiente. Innamoratosi perdutamente di Bianca, una studentessa del secondo anno, il ragazzo cercherà in tutti i modi non solo di guadagnarsi un'uscita con lei, ma anche di avere le sue attenzioni, fino a quel momento indirizzate all'aspirante modello Joey. 
Perchè il tutto possa realizzarsi, però, Cameron dovrà fare in modo di sistemare Kat, sorella maggiore di Bianca nonchè spauracchio di tutti gli appartenenti al sesso maschile - e non solo - dell'istituto, aggirando in questo modo la regola del padre delle ragazze che prevede un'uscita soltanto in doppia coppia: il candidato ideale che possa condurlo al successo pare essere Patrick, che la maggior parte degli studenti evitano e temono a causa della sua fama di delinquente.
Cosa accadrà quando le coppie tenteranno di formarsi?








Questi sono i post peggiori da scrivere.
Senza alcuna ombra di dubbio.
Quelli che, se non fosse che aggiornare il blog ogni giorno parlando di ogni singola pellicola che passa su questi schermi riesce a regalarmi soddisfazione, non mi sognerei neppure di recensire.
Quelli non abbastanza da farmi abbandonare al trasporto, positivo o negativo che sia.
Quelli non abbastanza in assoluto.
10 cose che odio di te, giunto da queste parti "grazie" al mio antagonista Cannibal Kid, è una vera schifezza per adolescenti buona giusto per i pomeriggi - e neppure le sere, badate bene - da rete Mediaset in pieno weekend da penuria di ascolti.
Una robetta anni novanta fino al midollo che, se non fosse per il futuro astro nascente Joseph Gordon Levitt ed il compianto Heath Ledger finirei per descrivere in una manciata di parole non troppo tenere, avendo passato da un bel pezzo l'adolescenza e non trovando nulla che possa permettere al lavoro di tale Gil Junger di essere ricordato.
Una compilation di stereotipi e favolette trite e ritrite condita giusto da un paio di battute meglio riuscite delle altre - quella del "Mi ha baciato!""Dove?""In macchina"è stata, lo ammetto, carina - in grado appena di soddisfare lo standard delle tredicenni di una quindicina di anni or sono, e che ora, forse, potrebbe riuscire a risultare sopportabile per gli studenti delle elementari, anche se non ci metterei la mano sul fuoco.
Una sceneggiatura ridicola fa da cornice al classico filmetto di cassetta buono per una parte del cast come trampolino per ingaggi più interessanti - oltre ai già citati Levitt e Ledger, ci sta tutta anche Julia Stiles -, che cerca di rifarsi ai modelli figli degli anni ottanta senza riuscire neanche alla lontana a raggiungerli, e che solo robuste dosi di alcool permettono di sopportare fino alla fine senza manifestare un desiderio quasi incontrollabile di alzarsi dalla poltrona e fare una capatina in bagno o in cucina per prendere il cibo regalandosi una pausa che possa durare quanto più possibile senza per questo sognarsi di mettere in pausa la pellicola.
Imbarazzanti dunque le situazioni, agghiaccianti i protagonisti ed incolori e già note le loro storie, terribili le scene scult - Heath Ledger che canta per Julia Stiles a bordo campo ha rischiato di compromettere la mia sanità mentale -: l'unica scusante è che, probabilmente, l'effetto che questa merdina riesce a fare è lo stesso che i film di genere - molto di genere, anzi - producono nei non avvezzi allo stesso.
Peccato che le fan di questo tipo di pellicole siano con ogni probabilità ragazzine intorno ai dodici anni che con il Cinema non hanno niente a che spartire.
Un pò come 10 cose che odio di te, che sarebbe un miracolo associare alla settima arte anche solo per una di esse.




MrFord



"Cruel to be kind, in the right measure
cruel to be kind, it's a very good sign
cruel to be kind, means that I love you
baby, you gotta be cruel to be kind."
Letters to Cleo - "Cruel to be kind" -



Hearts of darkness - Viaggio all'Inferno

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Regia: Fax Bahr, George Hickenlooper, Eleanor Coppola
Origine: USA
Anno: 1991
Durata: 96'





La trama (con parole mie): fin dal 1969, in cima alla lista dei progetti di Francis Ford Coppola si poteva trovare quello di un adattamento del romanzo Cuore di tenebra trasposto nel Vietnam, un viaggio nel lato oscuro dell'American dream esportato a suon di proiettili. Soltanto dopo il successo dei primi due film della saga de Il padrino, però, Coppola ebbe le possibilità economiche e produttive per avviare il progetto più ambizioso, titanico e destabilizzante della sua carriera, un'impresa che costò fatica, energia, milioni di dollari messi di tasca propria ed integrità fisica non solo del regista, ma anche del protagonista Martin Sheen.
Attraverso le immagini dei dietro le quinte girate dalla moglie Eleanor, scopriamo la genesi di uno dei più grandi Capolavori della Storia del Cinema.







Non ho mai creduto troppo nelle classifiche e graduatorie, che si parlasse di Cinema, Musica o Letteratura: i gusti personali e le esperienze di vita, in fondo, segnano talmente tanto da rendere ogni approccio "assoluto" decisamente poco utile se non per dare una qualche indicazione a chi per la prima volta si avvicina ad una qualsiasi forma d'arte.
Eppure, se esistesse un baule dove chiudere dieci film fondamentali da salvare da una qualsiasi catastrofe, credo che nessuno avrebbe dubbi nell'inserire nel novero Apocalypse now, che si parli della sua versione originale o del Redux.
Un film monumentale, gigantesco, assoluto, apice emotivo ed artistico della carriera di uno dei più grandi cineasti statunitensi viventi - e non solo -, un monumento al viaggio nel cuore del lato oscuro dell'Uomo ispirato da uno dei romanzi più affascinanti della Letteratura degli ultimi due secoli, Cuore di tenebra di Joseph Conrad, perfetto sotto ogni punto di vista, dalla tecnica alla recitazione, dalla carne al cervello.
Ma quale fu la strada che Francis Ford Coppola percorse per arrivare a regalare al pubblico l'esperienza quasi mistica di questo affresco incredibile?
Grazie ai filmati di repertorio girati dalla moglie Eleanor durante la sfiancante sessione di riprese nel cuore delle Filippine e al contributo dei due registi Bahr e Hickenlooper ogni spettatore avrà modo di scoprire il viaggio dentro il viaggio, il percorso devastante - fisicamente, economicamente ed emotivamente - che Coppola per primo dovette intraprendere per giungere a quello che, ad oggi, può essere considerato uno dei trionfi più clamorosi della Storia della settima arte, dai due Oscar e tre Golden Globes vinti alla Palma d'oro a Cannes, passando per l'aura mitica che questo film si è giustamente conquistato nel corso dei decenni.
Veniamo dunque a scoprire che, prima ancora di passare alla Storia grazie a Quarto potere, Orson Welles cercò di portare in scena una sua versione di Cuore di tenebra - poi mai realizzata per questioni di costi di produzione -, che il primo attore selezionato per la parte di Willard fu Harvey Keitel, clamorosamente scartato da Coppola dopo solo una settimana di riprese, che il regista arrivò ad impegnare perfino la sua casa per poter garantire la fine delle riprese, che Marlon Brando, oltre a creare problemi sulle tempistiche ed avere una paga da capogiro per i tempi e non solo - un milione di dollari a settimana per tre settimane - si presentò sul set ignorando sia la lettura del Capolavoro di Conrad che le promesse fatte a Coppola di mettersi in forma, che Martin Sheen ebbe un infarto nel corso delle riprese, e che il cast dei main charachters passò la maggior parte del tempo sotto l'effetto di alcool, marijuana, acidi e speed, senza contare il tifone che distrusse gran parte dei set e gli accordi con il governo delle Filippine rispetto all'utilizzo degli elicotteri del loro esercito - gli USA non misero a disposizione alcun mezzo a causa della posizione critica della pellicola rispetto alla Guerra in Vietnam -.
Un documentario completo, teso e ben girato, che rimbalza dai tempi delle riprese ai primi anni novanta - curioso vedere un Lawrence Fishburne quattordicenne, dunque adulto ai tempi della realizzazione di questo Hearts of darkness, e rivederlo ora, da Mystic river alla recente serie Hannibal - e che riesce ad avvincere non solo i fan di questo enorme Capolavoro, ma chiunque possa manifestare anche solo un parziale interesse per la Storia del Cinema e per gli enormi sforzi produttivi che vengono compiuti affinchè il pubblico possa sognare in sala davanti al grande schermo: il finale, inoltre, con un Coppola pronto ad accogliere un futuro più maneggevole e ad uso e consumo di tutti gli appassionati - "Anche una ragazza sovrappeso dell'Ohio potrà essere Mozart, e a quel punto il Cinema sarà diventato solo arte, e non mestiere" - apre uno spiraglio oltre il vero e proprio "orrore" che fu riuscire a sopravvivere ad un viaggio come questo, che dal Cuore di tenebra letterario passa da quello cinematografico, per aprirsi completamente nel profondo dell'anima di chi lo sta vivendo sulla pelle.




MrFord




"Fear of the dark, fear of the dark
I have constant fear that something's
always near
fear of the dark, fear of the dark
I have a phobia that someone's
always there."
Iron Maiden - "Fear of the dark" - 




Lost - Stagione 1

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Produzione: ABC
Origine: USA
Anno:
2004
Episodi: 25





La trama (con parole mie): il volo Oceanic 815, diretto da Sidney a Los Angeles, perde la rotta nel pieno del Pacifico e precipita su una misteriosa isola in una posizione imprecisata. I sopravvissuti si ritrovano a dover lottare non soltanto con la loro nuova condizione di esuli, ma anche con minacce apparentemente inspiegabili che paiono in qualche modo avere avuto un ruolo nel loro stesso passato, come se il presente di "naufraghi" fosse il culmine di un Destino già definito.
Così il medico Jack Shepard, i criminali Kate Austen e James "Sawyer" Ford, il milionario infelice Hugo "Hurley" Reyes, il musicista Charley Pace, la coppia in crisi dei Kwon, la giovane in dolce attesa Claire Littleton, l'ex soldato Sayid Jarrah ed il paraplegico ritornato miracolosamente a camminare John Locke divengono i protagonisti di un'avventura che cambierà per sempre le loro esistenze. E non solo.








Ricordo benissimo il periodo in cui approcciai per la prima volta Lost.
Era il maggio del duemilasei, in Italia era già diventata un fenomeno la prima stagione e negli States si avviava alla conclusione la seconda, ancora non mi allenavo, avevo un solo tatuaggio e vedevo la storia che mi aveva accompagnato stare per essere sgretolata da un desiderio di libertà totale ed incondizionata che fino a quel momento avevo vissuto segretamente, come una seconda vita.
Fu un mio collega - l'equivalente di Jack della quotidianità lavorativa - a passarmi i dvd, affermando che mi sarebbe piaciuta: ricordo che rimasi colpito dalla grande tecnica e dal taglio cinematografico del pilota, dai misteri di un'isola che, ancora non lo sapevo, avrebbe in qualche modo segnato la mia esistenza, ma che seguii per le prime puntate con un certo distacco.
Fu Confidence man, il primo episodio dedicato a Sawyer, a cambiare le carte in tavola: vedere quello che sarebbe diventato non solo il mio alter ego per i lostiani che mi frequentavano allora - "Sei proprio stronzo come Sawyer", mi fu detto da una fanciulla all'epoca - ma uno dei personaggi che più avrei amato nella Storia del piccolo e grande schermo fare carte false e subire addirittura una tortura soltanto per il gusto di essere il primo a rubare un bacio alla "bella e maledetta" Kate, prendendosi perfino colpe non sue, fu una vera svolta.
Da quel momento, Lost divenne una droga, una Fede - come direbbe l'indimenticabile John Locke -, qualcosa che, come il Destino pronto a legare i suoi protagonisti, definì alcuni degli anni migliori, più intensi e divertenti della mia vita, cui ancora oggi guardo con una certa malinconia e struggimento: decidere di rivedere l'intera serie una stagione all'anno come se fosse uscita una seconda volta era una vera e propria scommessa, ma per celebrare i dieci anni dalla prima messa in onda negli States qui in casa Ford non abbiamo saputo resistere, memori delle schermaglie che fecero non solo Sawyer del sottoscritto, ma Ana Lucia di Julez.
E la seconda visione è stata magica ed intensa almeno quanto la prima: osservare l'intera storia dei sopravvissuti dell'Oceanic 815 dopo aver assistito al termine delle loro avventure - tanto controverso tra i fan e rispetto alla critica - non solo ha portato alla luce una progettualità incredibile degli sceneggiatori - perfino nei piccoli particolari insignificanti l'impressione è che fosse tutto chiaro fin dal pilota, per Abrams e soci - ma ha finito per ridare lustro a sentimenti mai davvero sopiti per il cast of charachters più incredibile, azzeccato e clamorosamente perfetto mai pensato per un serial televisivo.
Del resto, come fu Twin Peaks un decennio prima e come sarà Breaking bad quasi un decennio dopo, Lost rappresenta senza ombra di dubbio un prodotto inarrivabile, rivoluzionario, magico anche nei suoi momenti peggiori: momenti che, di fatto, non riguardano la prima stagione, una delle più riuscite non solo di questa serie, ma del panorama della televisione in toto, dal già citato pilota alle puntate dedicate ai singoli personaggi, dal ritrovamento della famigerata botola alla morte di Boone, dalla partenza della zattera - forse il momento più commovente, che ha stretto il cuore dei Ford anche a distanza di tanto tempo - fino al climax del season finale, che probabilmente se avessi visto in contemporanea con la prima messa in onda avrebbe causato uno scompenso nel sottoscritto in attesa della visione della season two - ricordo che, invece, ebbi giusto il tempo della parentesi meravigliosa del viaggio a Barcellona in solitaria prima di tornare sull'isola, all'epoca -.
Non troppo tempo fa, parlando di questa nuova avventura con uno dei compagni di viaggio dell'epoca che si è dichiarato incapace di affrontare una volta ancora le vicissitudini dei superstiti dell'incidente aereo più importante della tv, ha finito per rimanermi impressa una sua frase: "Lost è una religione".
Ed è vero.
Con tutte le sue luci e le sue ombre, Lost ha, come nessun'altra serie, cambiato il mio modo di guardare al piccolo schermo, assotigliando la distanza che lo separava dal grande, legandosi a doppio filo non solo alla mia vita di spettatore, ma all'esistenza reale, di tutti i giorni.
Dal "sorriso all'arancia" di Locke ai soprannomi inventati da Sawyer, dagli orsi polari alla Black Rock, dal confronto tra Fede e Scienza dello stesso Locke e Jack, dal "walking the line" di Charlie al rigore di Sayid, dai rapporti pronti ad evolversi di Sun e Jin e Michael e Walt, c'è tutta la magia della vita e el Destino, del karma e dei significati che persone apparentemente estranee e lontane da noi possono assumere in particolari momenti della nostra vita, diventandone di fatto i protagonisti.
Questa è stata la magia di Lost.
Lo è ancora, e lo sarà per sempre.
Tutti sono protagonisti.
Tutti siamo protagonisti.
Perchè il Destino non fa sconti, e ha ben chiari i suoi numeri.
E noi possiamo solo giocarli al nostro meglio, sperando di non aver preso in mano il biglietto sbagliato.



MrFord



"Just a castaway
an island lost at sea
another lonely day
with no one here but me
more loneliness
than any man could bear
rescue me before I fall into despair."
The Police - "Message in a bottle" - 



 

Ray Donovan - Stagione 1

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Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi: 12




La trama (con parole mie): Ray Donovan risolve problemi. E' un tipo tosto, tutto d'un pezzo, pronto a sopraggiungere nel momento in cui la celebrità di turno si trova con la merda fino al collo. Ed è garantito che Ray Donovan, quella merda, la spalerà tutta, senza risparmiarsi o scomporsi troppo. Peccato che, nella gestione dei propri disagi, Ray non mostri la stessa abilità che porta sul lavoro: il rapporto con la moglie sempre appeso ad un filo, il dialogo con i figli scarso, il legame con i tre fratelli profondo e radicato, eppure instabile, e soprattutto il patimento legato al ritorno dal carcere del padre Mickey.
Quest'ultimo, finito dietro le sbarre quasi vent'anni prima proprio a causa di Ray, da Boston - città originaria della famiglia - raggiunge i figli a Los Angeles, compromettendo il già traballante equilibrio delle loro esistenze.
Riuscirà Ray a fare fronte alle difficoltà della sua vita privata con lo stesso piglio con il quale affronta quella "pubblica"? E quali segreti nasconde una delle famiglie più complicate del passato recente del piccolo schermo?










Per esperienza, ho sempre pensato che i ricordi e le vicende destinate a restarci impresse nel cuore siano quelle legate alla questione di essersi fatti il culo il più possibile.
Un pò come accade per le relazioni importanti, o la famiglia: parliamo dei focolari delle nostre più grandi passioni, ed al contempo del frutto delle più profonde sofferenze, di legami praticamente inscindibili costruiti con il sudore della fronte, la lotta, le battaglie e le fatiche tanto quanto le risate, l'affetto, la sensazione che il sangue sia qualcosa di più forte di ogni convinzione.
Ray Donovan - la serie ed il suo protagonista - conoscono bene il significato di queste affermazioni.
Era dai tempi del meraviglioso Six feet under, infatti, che non mi trovavo di fronte una proposta figlia del piccolo schermo così legata al concetto più profondo di Famiglia, all'importanza dello stesso ed alle difficoltà che si affrontano affinchè possa continuare ad essere il posto in cui tornare, il nostro rifugio dalle tempeste e lo stimolo ad essere sempre presenti, rocciosi, granitici per difenderlo.
Non che questo debba giustificare una promozione ad occhi chiusi, però: Ray Donovan si è sudato il suo spazio episodio dopo episodio, mostrando le crepe nella sua corazza - e Liev Schreiber è perfetto per questo ruolo - e dando libero sfogo agli squilibri di Bunchy, Terry e Mick, interpretati e scritti con l'anima dagli autori di quello che, di fatto, è uno dei titoli che, pur restando ostico dall'inizio alla fine, ho finito per amare di più nel passato recente.
Non tanto per la messa in scena ed una Los Angeles che pare un incrocio tra Bukowski e I Soprano - parlando di famiglia, più che di Costa Ovest contro Costa Est -, la cura dei particolari, i comprimari - perfetti i soci di Ray, così come la sua famiglia ed il quarto Donovan -, l'intreccio o i dialoghi, quanto per quella scintilla che pare quasi faticare a scoccare, e che non sai fino all'ultimo episodio essere già mutata in un incendio: questa prima stagione di un serial che ha consacrato una volta ancora uno strepitoso Jon Voight è dannatamente simile ad un incontro di boxe, ferita e sudata, sempre in bilico, pronta ad appoggiarsi alle corde così come a tornare ansimando all'attacco, caricando a testa bassa.
Non ci sono personaggi positivi, eroi da pellicola d'altri tempi, quanto uomini e donne alla ricerca di un equilibrio che, sotto i ripetuti cazzotti sferrati dalla vita, cercano di fare del loro meglio per stare in piedi, o quantomeno alzarsi anticipando il conto di dieci: Ray, ex promessa della boxe, problem solver d'altri tempi, grezzo e spigoloso quanto presente e protettivo, è il ritratto perfetto dello scontro impari che tutti noi combattiamo ogni giorno, con i secondi che la vita ci ha assegnato e quelli che abbiamo scelto riuniti allo stesso angolo, che se abbiamo giocato bene le carte della mano del Destino finisce per essere il nostro, ben oltre il suono della campana.
Perfino il personaggio di Mick, decisamente più vicino ad un vecchio e criminale Hank Moody che non allo squallido Frank Gallagher, finirebbe per stare bene, in quel posto.
Perfino Bunchy, con le sue ferite e la sua anima di bambino rimasto intrappolato in un trauma che i suoi fratelli hanno spazzato via a suon di botte.
Perfino Terry, cui bastano due mani tremanti per mettere con il culo per terra chi ha provato a fare del male a chi ama.
E Ray. Che pare in grado di risolvere qualsiasi problema, tranne i suoi.
Forse perchè sono proprio quelli che lo mantengono vivo, vigile, reattivo.
Come lo squalo impossibilitato a fermare la sua corsa.
Eppure finisce per essere evidente il bisogno del predatore di prendersi il suo tempo, e sedersi all'angolo.
Su una sdraio, in spiaggia.
Prima del round successivo.




MrFord




"Hey brother, do you still believe in one another?
Hey sister, do you still believe in love, I wonder?
Oh, if the sky comes falling down for you,
there’s nothing in this world I wouldn’t do."
Avicii - "Hey brother" - 




The judge

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Regia: David Dobkin
Origine: USA
Anno:
2014
Durata:
141'





La trama (con parole mie): Hank Palmer, aggressivo avvocato di successo ormai vero e proprio squalo della grande città, torna nella campagnola terra d'origine, persa nella provincia americana, per il funerale della madre. In questo modo rientra in contatto con il padre Joseph, giudice locale, con il quale non ha più alcun rapporto da anni, e con i suoi due fratelli, l'ex promessa del baseball Glen e l'autistico Dale. Quando il vecchio Joseph sarà accusato di omicidio per aver investito un ex detenuto che lui stesso aveva spedito dietro le sbarre, Hank si assumerà la responsabilità della Difesa, finendo per trovarsi a gestire i fantasmi del passato e tutto quello che pareva essersi lasciato alle spalle anni prima, quando abbandonò  la sua casa diretto verso il resto del mondo.
Cosa accadrà quando padre e figlio porteranno i loro scheletri nell'armadio in aula?








Ricordo ancora bene i tempi in cui, da semplici spettatori compulsivi, io e mio fratello divenimmo appassionati di Cinema a tutti gli effetti, compiendo il passo che separa il consumatore occasionale dal cercatore, chi si trova di fronte una pellicola e chi, invece, finisce per guadagnarsela, per curiosità o indicazioni date da una recensione particolarmente ispiratrice.
Ricordo anche che non si iniziò facendo quelli che se ne intendono, partendo dai grossi calibri, ma che per un buon periodo il film "impegnato" risultava essere il classico prodotto a stelle e strisce di una caratura superiore alla media, ben diretto e recitato e dai contenuti profondi: se fossimo ancora in quel periodo, senza dubbio The judge sarebbe stato della partita.
Personalmente, per quanto detestati dalle frange più estreme dei radical chic alla ricerca del film d'essai di origini curiose quasi non distribuito che persistono nel vederli come fumo negli occhi, prodotti all'americana come questo sono sempre stati un guilty pleasure cui non saprò mai rinunciare: film onesti, solidi, ben congeniati, forse a tratti retorici o prolissi ma non per questo mal riusciti.
Il lavoro di David Dobkin - cui non avrei dato un soldo bucato, considerati i suoi trascorsi dietro la macchina da presa -, nonostante qualche lungaggine ed un minutaggio importante, finisce per risultare godibile ed intenso quanto basta anche e soprattutto grazie alle interpretazioni ottime di Robert Downey Jr e Robert Duvall, che portano in scena un duetto padre/figlio tra i migliori delle ultime stagioni cinematografiche, riuscendo a rendere toccante un tema molto trattato al quale il sottoscritto resta sempre particolarmente sensibile.
Se, inoltre, da un lato abbiamo uno svolgimento molto classico nell'ambito di questo genere di prodotti, dall'altro occorre ammettere una certa quasi originalità nello sviluppo della trama, dall'idea della difesa del figlio rispetto al padre in aula ai concetti di Colpa e di Giustizia, passando attraverso un finale che, seppur non fuori dagli schemi, risulta quantomeno non eccessivamente blockbusteriano o consolatorio, così come l'evoluzione e l'esito del processo che vede come imputato il vecchio Joseph/Robert Duvall.
Un'opera, dunque, che non brillerà per rivoluzionarietà o approccio, ma che risulta godibile e ben piantata per terra, supportata da un comparto tecnico artigianale ma di ottima fattura ed un cast che, protagonisti a parte, è senza dubbio alcuno di tutto rispetto, da Vincent D'Onofrio a Billy Bob Thornton passando per Vera Farmiga: il discorso a proposito delle proprie origini e delle ferite che rimangono aperte in famiglia, inoltre, per quanto sfruttato a tutte le latitudini della settima arte finisce sempre per coinvolgere, considerato che ognuno di noi, in misura più o meno problematica, ha dovuto nel corso della propria vita confrontarcisi.
In questo senso la scelta di mettere in scena questo dramma domestico - perchè, badate bene, la scusa del legal thriller è solo un contorno - in un tribunale, condendolo con termini quali Giustizia e Colpa, con tutti i rimorsi, i rimpianti e le eredità che dalle stesse vengono trasmesse risulta decisamente azzeccata, così come quella di porre il padre Giudice ed il figlio avvocato della Difesa, quasi fosse una trasposizione di quello che, di norma, accade con la crescita: il desiderio del genitore di preservare il figlio e fornire allo stesso tutti gli strumenti possibili per arrivare a raggiungere l'eccellenza, perfino passando per "cattivi", e quello del figlio di affrancare la propria libertà dal genitore, senza mai dimenticare, ad un tempo, il desiderio dell'approvazione dello stesso.
Poco importa, poi, in casi come questo, come andrà a finire il processo: la differenza la farà quella barca, e l'aver conquistato, in qualche modo, il momento chiarificatore l'uno rispetto all'altro.
Da figlio, un momento come quello mi renderebbe orgoglioso.
E da padre, vorrei andarmene proprio così.




MrFord




"Fu nelle notti insonni
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore
per imboccar la strada
che dalle panche d'una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d'un tribunale,
giudice finalmente,
arbitro in terra del bene e del male."
Fabrizio De Andrè - "Un giudice" - 






Thursday's child

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La trama (con parole mie): la marcia di avvicinamento alla fine dell'anno e alle classifiche di rito è in pieno svolgimento, e la stagione cinematografica tenta di smuovere almeno parzialmente le acque parecchio stagnanti di questo duemilaquattordici con un paio di colpi di coda che potrebbero in un modo o nell'altro influenzare le graduatorie. Riuscirà nel suo intento, oppure ci troveremo di fronte soltanto a fuochi di paglia? E parlando di fuochi di paglia, riuscirà il Cannibale ad azzeccare quantomeno una critica interessante questa settimana? Ai posteri l'ardua sentenza.


"Lo sapevo che non dovevo lasciar guidare Ford!"
 
Lo sciacallo – The Nightcrawler


Cannibal dice: Come forse già saprete, Jake Gyllenhaal è uno dei paladini del mio blog.
Volete una proporzione?
Eccola.
Jake Gyllenhaal: Pensieri Cannibali = Sylvester Stallone: WhiteRussian.
Ne volete un'altra?
Buon Cinema: Pensieri Cannibali = Cattivo Cinema: WhiteRussian.
Formule matematiche a parte, questo The Nightcrawler potrebbe essere una bomba e il paladino Jake Gyllenhaal potrebbe offrire una delle interpretazioni più pazzesche della sua già pazzesca carriera. Alla faccia di quello sciacallo di Ford.
Ford dice: Gyllenhaal, nonostante il sopravvalutato Donnie Darko, non è mai riuscito davvero ad infastidirmi. Anzi, nel corso degli anni, da Brokeback Mountain a Prisoners, è stato in grado di regalare anche prove davvero niente male. A quanto si dice in giro, con questo Lo sciacallo pare essersi superato, ed onestamente sono piuttosto curioso di scoprire cosa potrebbe esserne uscito.
Un pò meno di quello che scriverà il mio rivale a proposito di questo e degli altri film, in uscita e non.

"Certo che Ford a fatto proprio un massacro, nella cameretta del Cucciolo Eroico!"

Clown


Cannibal dice: Nonostante nei cinema non arrivi un horror decente da millenn... volevo dire da mesi, c'è sempre una notevole curiosità intorno a questo genere. Per chi è cresciuto con l'incubo di It poi, quando c'è di mezzo un clown l'interesse sale ancora di più. Chissà allora che questo film, che non è diretto come la campagna marketing vorrebbe far credere ma soltanto prodotto da Eli Roth, non sia davvero spaventoso. Spaventoso quanto le opinioni di Ford.
Ford dice: considerata la quantità di schifezze che l'horror è riuscita a regalarmi negli ultimi mesi, penso lascerò a Peppa Kid la visione di quest'altra robetta, che con ogni probabilità provocherà una crisi da pannolino nel re dei pusillanimi della blogosfera.

"Hey Peppa, sono l'animatore della tua festa di compleanno da Mac!"
Due giorni, una notte


Cannibal dice: Dei super radical-chic fratelli Dardenne ho visto solo l'ultimo Il ragazzo con la bicicletta. Un esempio del loro cinema neorealista, e quindi molto neofordiano, che non hi fatto gridare al miracolo però nemmeno schifato. Il loro nuovo Due giorni, una notte mi intriga allora parecchio non tanto per i due registi, ma per la spesso fenomenale protagonista: Marion Cotillard. Due registi, una attrice. Un'attrice fenomenale. Due blogger, una recensione. Una sola recensione che varrà davvero la pena leggere. Quella cannibale.
Ford dice: i Dardenne, registi simbolo del radicalchicchismo, sono riusciti negli anni a regalare al pubblico - ed anche al sottoscritto - perle di bellezza straordinaria, storie estremamente reali di quelle che fanno impazzire i teenager ancorati solo ai "cancelli in aria" come il mio rivale. Le aspettative, dunque, per questa loro nuova fatica, sono discretamente alte. Speriamo non siano deluse.

"Da queste parti di Ford neanche l'ombra. Forse l'ho deluso al nostro ultimo appuntamento."

Frank



Cannibal dice: Ne avevamo già parlato un paio di settimane, poi è stato ritardato (no, ritardato questa volta non è un insulto nei confronti di Ford). Che senso ha spostare l'uscita di un film di un paio di weekend?
Un giorno i misteriosi omini che si nascondono dietro la distribuzione italiana, e senza manco usare una maschera come Frank, ce lo dovranno spiegare.
Ford dice: calando un velo pietoso sulla distribuzione italiana, posso sfruttare il ritardo nell'uscita di Frank per dichiarare di averlo visto. Fassbender mascherato riuscirà a provocare un nuovo strappo tra il Saloon e la casa delle bambole cannibale? Soltanto la recensione fordiana in arrivo lo rivelerà.

"Spargiamo nel deserto fuori Casale le ceneri di Peppa Kid, caduto sotto i colpi di Ford."
Words and Pictures


Cannibal dice: Romcom americana con un cast europeo capitanato da Clive Owen e Juliette Binoche su cui non avrei puntato due lire, anche perché le lire ormai le usa forse soltanto Ford, che non ha ancora avuto modo di prendere confidenza con l'euro. Dopo aver visto il trailer, devo però ammettere che la storia tra questi due professori burberi e controcorrente potrebbe rivelarsi una piacevolissima sorpresa. Un film da non sottovalutare che, grazie al personaggio di Clive Owen in apparenza piuttosto fordiano, potrebbe addirittura piacere pure al mio blogger rivale.
Ford dice: in questo periodo non sono troppo in vena di scommesse cinematografiche, considerato il tempo che scarseggia da dedicare alle visioni, eppure, non fosse altro che per solidarietà fordiana, un'occhiata a questo titolo potrei anche darla nel nome di Clive Owen, che non mi ha mai convinto del tutto ma che, in questo caso, pare aver tirato fuori un personaggio che potrebbe piacermi.
Il Cannibale, invece, continua a non piacermi neanche per sbaglio.

"Pronto, Ford? Ma era davvero necessario ridurre in quel modo il Cucciolo? In fondo era un pò la nostra mascotte!"
La scuola più bella del mondo


Cannibal dice: Non chiamatelo cinepanettone. Visto che esce a ridosso del Giorno del Ringraziamento, forse è meglio chiamarlo cinetacchino. Comunque sia, il nuovo film con Christian De Sica (che nonostante i filmacci continua a non starmi antipatico) e l'insopportabile Rocco Papaleo si preannuncia davvero pessimo. Se quelle inserite nel trailer sono le battute migliori dell'intera pellicola, a questo punto la produzione avrebbe fatto meglio a chiamare Ford come battutista...
Ford dice: la cosa più interessante da notare rispetto a questo film è data dal fatto che io e Peppa giudichiamo De Sica tutto sommato non antipatico e terrificante Papaleo. Per il resto, il nulla.

"Rosica, Papaleo! Ford e Cannibal mi sostengono!"
Il mio amico Nanuk


Cannibal dice: La storia dell'amicizia tra un bimbominkia e un animale. No, non è un film che racconta di me e di Ford. La nostra è semmai una storia di inimicizia. In questo caso si tratta invece della relazione (anche sessuale? chi lo sa?) tra un ragazzino e un orsetto. Nonostante l'ambientazione polare, scusate il francese, ma a me si sono già sciolte le palle!
Ford dice: onestamente, avrei preferito un documentario che raccontasse delle vicende di un ragazzino un po' troppo pusillanime e del suo bestiale compagno di viaggio, il Ford. Ma temo che ci si dovrà accontentare di questo.

Peppa Kid e Ford in uno dei rari momenti di tenerezza.

La foresta di ghiaccio


Cannibal dice: Thriller italiano in cui il regista Emir Kusturica figura come attore, dal trailer non sembra affatto malaccio. Un trailer italiano accattivante?
Incredibile, ma vero. A questo punto manca solo una recensione fordiana condivisibile dalla prima all'ultima parola e poi posso dire di averle viste tutte.
Ford dice: Considerato che con il Cinema italiano ormai sono ad un passo dal trovarmi nella stessa situazione dell'horror, nonostante qualcosa di interessante nel trailer, per il momento desisto.
Piuttosto, corro ad abbandonare il Cucciolo Eroico in una qualche foresta per la sua personale versione di Into the wild.

Ford in gita per il weekend. Peppa Kid è già volato di sotto.
Tre tocchi


Cannibal dice: Per un trailer italiano che promette bene, eccone subito uno che promette male. Molto male.
Meglio così. Cominciavo a preoccuparmi che il mondo avesse cominciato a girare al contrario. Un mondo in cui persino Ford potrebbe dire cose sensate...
Nah, un mondo così non avrebbe senso!
Ford dice: gli unici tre tocchi che in questo momento darei sono quelli delle bottigliate sulla testa del Cannibale. E anche su quelle degli autori di questa roba.

"Ciao Peppa, ci manda Ford. Siamo il tuo regalo di Natale."
Il leone di vetro


Cannibal dice: Film storico italiano o meglio veneto ambientato a fine '800. Dal trailer fa venire una fortissima voglia di andarsi a vedere una fiction Rai. Nonostante sia ambientato nel periodo in cui lui era giovane, potrebbe schifare persino Mr. James Ford. E ho detto tutto.
Ford dice: nonostante sia ambientato nel periodo della mia giovinezza, questa roba mi fa davvero accapponare la pelle. E ho detto tutto.

Tipico ricordo d'infanzia fordiana, un paio di secoli or sono.

Dottor House - Stagione 2

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Produzione: Fox
Origine: USA
Anno: 2005
Episodi:
24





La trama (con parole mie): proseguono le indagini mediche dai metodi anticonvenzionali per Greg House ed il suo team, alle prese con situazioni sempre ai limiti della casistica tradizionale e nuove minacce sanitarie e non che arriveranno a colpire perfino i membri della squadra, da Foreman ad House stesso, complice una vecchia conoscenza giunta dal passato per vendicarsi di lui.
Come se tutto questo non bastasse, la vita privata di Wilson ed i trascorsi sentimentali con la psicologa dell'ospedale porteranno il poco incline alla disciplina dottore a dover lottare quanto e più del solito non solo con gli schemi ed il dolore con il quale è costretto a convivere, ma anche con i rapporti interpersonali, sempre più difficili da gestire per un "cattivo per scelta" come lui.









Neppure il tempo di abituarsi al recupero tardivo della prima stagione, ed ecco che lo spigoloso House torna a fare capolino al Saloon, di fatto entrando a far parte delle proposte da intrattenimento godereccio e pane e salame tipiche del momento pasti per gli occupanti di casa Ford, ormai monopolizzati - giustamente - dal Fordino e dunque legati alle visioni più leggere possibili per quanto riguarda il piccolo schermo.
La seconda stagione dedicata alle gesta del medico pronto a rivaleggiare con il Cox di Scrubs per il titolo di "stronzo positivo" del genere ospedaliero mantiene le promesse fatte dalla prima, continuando il lavoro di approfondimento sui main charachters - da House stesso ai membri della sua squadra, passando per l'amico oncologo Wilson e la direttrice Caddy - e la struttura in perfetto equilibrio tra episodi autoconclusivi e sottotrame pronte ad evolversi ed esplorare principalmente tutto quello che i personaggi portano con loro oltre il ruolo di medici: in questo senso, l'apice della seconda stagione giunge in parallelo al doppio episodio legato all'infezione che colpisce, durante le indagini per un caso più complicato ed insolito di quanto siano soliti - come in un gioco di parole - affrontare i nostri -, Foreman, il mio personale favorito, e che porterà House ed i membri della sua equipe a spingersi oltre i confini ben più di quanto non accada già di norma - Foreman stesso compreso -.
A fare da eco all'appena citata doppietta, il season finale costruito sull'incertezza del futuro di House, la prima dozzina di episodi incentrati sul rapporto tra lo scorbutico dottore e la sua storica ex, nonchè psicologa dell'ospedale, e l'episodio incentrato sulla Fede ed il rapporto con i "piani alti", una sorta di scontro all'ultimo sangue tra Scienza e Religione.
Senza dubbio la struttura della proposta è ancora piuttosto simile a quella dei fumetti "all'italiana" in cui i personaggi finiscono per essere sempre uguali a loro stessi nonostante i cambiamenti - si veda, ad esempio, la sbandata di Cameron nel momento di alterazione capace di far crollare le sue usuali barriere -, eppure gli episodi scorrono in grandissima scioltezza, tanto che in più di un'occasione ho finito per chiedermi come mai, ai tempi della sua programmazione, non abbia concesso una possibilità, neppure per svago, a questo insolito medico dallo stile molto simile a quello di uno Sherlock Holmes della medicina meno inglese e pacato.
Il vecchio House, infatti, con i suoi demoni interiori e l'insistita e reiterata voglia di apparire come lo stronzo principe - o principe degli stronzi - cui imputare tutti gli eventuali mali e le conseguenti colpe, possiede molte delle caratteristiche che, di norma, per un certo grado di affinità, finiscono per attrarmi inesorabilmene in charachters di questo genere: l'approccio del sottoscritto è forse meno sopra le righe - parlando di medicina, penso di sentirmi molto più vicino al Karev di Grey's anatomy, altro finto bad guy illustre del piccolo schermo -, e dovessi lavorare con un individuo della pasta del claudicante Greg mi ritroverei un giorno sì e l'altro pure ad essere roso dal dubbio se sostenerlo o rifilargli un paio di cazzotti come si deve - un pò quello che fa il già citato Foreman, non a caso il mio preferito -.
La visione delle sue peripezie ospedaliere e non, comunque, accompagna piacevolmente, permettendo anche a Julez di regalarsi un paio di momenti di gloria - due diagnosi legate a malattie assolutamente assurde e semisconosciute azzeccate grazie ai recenti studi della signora Ford - e preparando il terreno per la terza annata, che se continuerà a mantenersi sui livelli delle prime due viaggerà in acque tranquille, e se dovesse fare un passo ulteriore nell'approfondimento e nella qualità, potrebbe addirittura farmi ricredere rispetto a tutti i sostenitori che, ai tempi, si dichiaravano pronti a tutto nel considerare House una delle migliori proposte televisive dei primi Anni Zero.




MrFord



"Look at them go
look at them kick
makes you wonder
how the other half live." 
INXS - "Devil inside" - 



13 sins

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Regia: Daniel Stamm
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 88'





La trama (con parole mie): Elliot, onesto venditore di assicurazioni in procinto di diventare marito di Shelby nonchè padre, si trova in difficoltà economiche nell'odierna New Orleans. Oppresso dai debiti legati all'organizzazione del matrimonio e rimasto senza lavoro, responsabile del padre e del fratello affetto da disturbi psichici, il ragazzo riceverà una telefonata che proporrà una soluzione ai suoi problemi: dovrà affrontare tredici prove che gli permetteranno, passo dopo passo, di mettere le mani su una riserva di denaro sempre maggiore fino a divenire un vero e proprio milionario.
Elliot accetta e si lascia trasportare dalla proposta della misteriosa organizzazione che pare celarsi dietro il contatto telefonico, attiva almeno dagli inizi del novecento: le richieste a lui indirizzate, però, diverranno sempre più difficili e rischiose da portare a termine, e quando la Famiglia verrà coinvolta, per il giovane uomo la lotta si farà decisamente più dura.








E' interessante come e quanto la crisi economica del mondo occidentale tutto abbia finito per incidere sul Cinema non solo per quanto riguarda incassi e produzioni, ma anche rispetto alle idee e all'ispirazione giunta dalle stesse: non troppo tempo fa mi capitò di parlare decisamente bene di Cheap thrills, grottesco thriller dalle memorie scorsesiane che aveva al centro le scelte di vita - e di morte - di una coppia di amici alle prese con tutti i problemi che la quotidianità attuale impone di affrontare di fronte ad una particolare visione delle cose orchestrata da due milionari senza ritegno, ed oggi mi ritrovo ad affrontare un discorso assolutamente simile per questo 13 sins.
Giocato a partire dagli stessi riferimenti - un protagonista outsider sociale dal talento tutto sommato inespresso messo all'angolo dalle vicissitudini monetarie e sentimentali che la vita ci pone spesso e volentieri di fronte - pur se sviluppato attraverso vie decisamente più seriose e meno plausibili - l'escalation legata alla misteriosa setta di responsabili del gioco, i cambiamenti repentini ed immediati del main charachter, l'escalation d'azione finale -, 13 sins rappresenta una variante comunque interessante e piacevole per passare una serata ad alta tensione riflettendo su un tema pronto a portare a galla tutte le difficoltà che fin troppo spesso si finiscono per affrontare al giorno d'oggi quando in ballo si trovano lavoro e denaro.
Come per il già citato Cheap thrills, anche in questo caso il punto di rottura passa attraverso il licenziamento e, di fatto, la perdita di un lavoro che conduce inevitabilmente il protagonista a livelli decisamente più bassi nella scala sociale - almeno per come è percepita dall'alto -, pronto a divenire una delle principali spinte affinchè il riscatto possa passare attraverso il superamento di limiti e confini, dettato in questo caso da un'oscura congrega di stampo massonico che pare non vedere l'ora di osservare il buon Elliot impazzire affinchè le imprese possano essere portate a termine.
La differenza tra le due pellicole viene dunque sottolineata dall'aspetto cospirazionista di questo lavoro firmato dal regista di The last exorcism, che non brilla per tecnica o meraviglie dei suoi interpreti - nonostante il sempre benvoluto e fordiano Ron Perlman - o plausibilità della trama e della sua evoluzione ma che riesce in ogni caso ad avvincere e catturare l'attenzione, portando per mano sfruttando anche un paio di twist davvero niente male il pubblico ad un finale che, almeno in parte, pare lasciare uno spiraglio anche per la parte povera - la maggior parte, oserei dire - dell'audience, inevitabilmente portato a parteggiare per Elliot e a pensare a come si sarebbe mosso nella sua stessa situazione.
Interessante, in questo senso, il confronto tra il protagonista e la sua promessa sposa - interpretata, tra l'altro, da Rutina Wesley, che riconosceranno tutti i fan di True blood - rispetto alla scelta compiuta di fronte alla possibilità di cambiare la propria esistenza attraverso un gioco basato principalmente sulla volontà di rischiare ed andare oltre non soltanto i limiti della Legge e della società, ma anche e soprattutto quelli che definiscono noi stessi come persone.
Manca, forse, la componente distaccata e quasi chirurgica degli organizzatori del gioco - più simili ad un gruppo di cattivi da fumettone nascosti nell'ombra -, ed i difetti non mancano, eppure il risultato è onesto ed in grado di reggere con buon piglio una serata da voglia disperata di brividi buoni, attraverso la fiction, per far dimenticare per un pò la durezza della realtà.
Considerato che il punto di partenza era quello di un diversivo senza impegno, direi che siamo stati più fortunati del previsto, ed usciamo sorprendentemente più ricchi dalla visione.
Alla faccia di chi ci vorrebbe braccia esecutrici di piani troppo alti.




MrFord




"Oh Sinnerman, where you gonna run to?
Sinnerman, where you gonna run to?
Where you gonna run to?
All on that day
well I run to the rock, please hide me
I run to the rock,please hide me
I run to the rock, please hide me, Lord
all on that day."
Nina Simone - "Sinnerman" - 





The counselor - Il procuratore

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Regia: Ridley Scott
Origine: USA, UK
Anno: 2013
Durata: 117'




La trama (con parole mie): un avvocato di successo, messo all'angolo da problemi di liquidità, avidità e voglia di confrontarsi con il lato oscuro che, di norma, finisce per osservare solo in tribunale, si inserisce in un affare di droga con il Cartello messicano grazie ad un losco socio d'affari ed un altrettanto poco raccomandabile intermediario.
Peccato che, dopo aver recuperato i venti milioni necessari per entrare nel giro, il carico giunto dal Messico sparisca nelle mani sbagliate, mettendo in moto il meccanismo spietato del Cartello e dei predatori rispetto a tutti i protagonisti dell'accordo dall'altra parte del confine: ma se per alcuni significherà soltanto perdere la vita, per altri vorrà dire continuare a respirare con il peso sulle spalle di aver sacrificato tutto quello che aveva davvero valore al mondo.
Qualcosa ben oltre i diamanti, i soldi e la prospettiva di un successo.








E' curioso, a volte, quanto il gioco delle aspettative possa incidere sulla visione di una pellicola: ai tempi della sua uscita in sala, The counselor - Il procuratore, realizzato da quello che, nonostante gli alti e bassi degli ultimi anni, è considerato una sorta di mostro sacro, Ridley Scott, e scritto nientemeno che da Cormac McCarthy, uno dei più importanti scrittori viventi americani nonchè figura più che fordiana, fu massacrato praticamente in ogni dove, qui nella blogosfera e non, collezionando una serie da record di recensioni che definire negative risulterebbe quantomeno ottimistico.
Allo stesso tempo risultò curioso, almeno per il sottoscritto, che i critici più pane e salame finirono per prenderlo a bottigliate sui denti e quelli radical - fatta eccezione per la mia nemesi Cannibal Kid - addirittura lo promossero quasi a pieni voti, mentre almeno sulla carta e forte della visione avrei detto che sarebbe potuto accadere l'esatto opposto.
Detto questo, devo ammettere di essere uscito piuttosto perplesso dalla visione, ricca di momenti davvero al limite del ridicolo come la questione della temperatura o l'ormai considerata divertentissima - e non in senso positivo - spaccata di Cameron Diaz sul parabrezza della Ferrari gialla di Bardem ed una costruzione non sempre limpida in fase di scrittura ma anche paradossalmente piacevole e molto ritmata, tipica di quei titoli da divano senza impegno per alleggerirsi dal lavoro.
In un certo senso, mi è parso di vedere Scott e McCarthy colti dalla stessa sindrome che colpì Stone e Winslow - altri due che qui in casa Ford tendenzialmente amiamo molto - con Le belve: due uomini considerati assoluti professionisti nel loro settore ma decisamente non più giovanissimi travolti dalla voglia di apparire cool e alla moda, quasi le pulsioni sessuali e la prestanza dei loro protagonisti sullo schermo simboleggiassero il desiderio degli autori di tornare ad un'epoca in cui anche loro potevano considerarsi "giovani e belli", come canterebbe Guccini.
Peccato che il Tempo passi per tutti, e l'effetto di titoli come questo finisca per essere lo stesso dei sessanta e settantenni lampadati pronti a tatuarsi fuori tempo massimo ed indossare le Beats sfoggiando camminate neanche fossero usciti dal liceo: eppure, a mio parere, non parliamo di una pellicola inesorabilmente brutta - allo stesso modo di quanto si potrebbe pensare del già citato Le belve -, ma godibile e molto meno autoriale di quanto non si possa pensare, inserita più nel filone che alimenta l'esaltazione dei ragazzini che sognano di essere Tony Montana che non in quello della ricerca e dell'analisi dei massimi sistemi attraverso una storia action/crime.
La cosa migliore, rispetto a The counselor, resta per me un approccio molto ignorante ed inconsapevole, proprio come se il regista non fosse Ridley Scott - anche se il suo stile tecnicamente impeccabile si riconosce comunque - e lo sceneggiatore Cormac McCarthy: in questo modo questa vicenda di corruzione, droga, sesso e morte finisce per assumere i connotati di una sorta di versione di grana grossa e metanfetaminizzata di piccoli cult come City of god o serie Capolavoro come Breaking Bad.
Certo, i paragoni non reggono neanche per scherzo, eppure era da parecchio che non mi capitava di passare due ore senza pretese schiantato in poltrona godendomi il circo di uno dei miei generi preferiti senza considerare alcuna conseguenza, o rimediare un'incazzatura.
Ho lasciato che il buon Fassbender ed il suo avvocato desideroso di un confronto con il Lato Oscuro e la sua innocente metà Penelope Cruz diventassero gli agnelli sacrificali di una serata all'insegna del pacchiano e del sopra le righe, neanche fossi un boss del narcotraffico che si diverte ad osservare cosa racconta il dorato mondo hollywoodiano di quelli come lui.
Con tanto di Brad Pitt e Cameron Diaz - rispettivamente per signore e signori, anche se non è certo dettto, o una regola - inclusi nel pacchetto.
Direi che non è poco, anche quando dall'altra parte, più che il peso della delusione, si trovava quello per l'inguardabile look di Bardem e la fuga dei ghepardi neanche fossimo nella versione dei poveri di Collateral.



MrFord




"I'm hiding in Honduras
I'm a desperate man
send lawyers, guns and money
the shit has hit the fan."
Warren Zevon - "Lawyers, guns and money" - 



Frank

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Regia: Lenny Abrahamson
Origine: UK, Irlanda
Anno: 2014
Durata:
95'




La trama (con parole mie): Jon, un giovane aspirante musicista non particolarmente dotato in fase di scrittura dei pezzi, finisce casualmente per sostituire il tastierista della strampalata e stralunata band dei Soronprfbs ed essere assoldato dagli stessi per completare la registrazione di un album in un cottage in Irlanda. Convinto di passare soltanto qualche giorno accanto ai nuovi compagni di viaggio e al loro curioso leader, Frank, che indossa da sempre una maschera enorme sul volto, Jon comincerà a documentare i loro momenti di svago e con gli strumenti - improvvisati e non - tra le mani, finendo per rimanere più di un anno legato alla band.
Quando, grazie a Youtube e Twitter, Jon entrerà in contatto con gli organizzatori di un Festival negli States e l'album sarà finalmente finito, i Soronprfbs e Frank dovranno fronteggiare la loro crisi più profonda: dissidi interni, i dubbi del leader e l'incompatibilità tra Jon e Clara saranno, infatti, un banco di prova ancora più duro del successo imminente.







Se avessi stilato una classifica dei film alla vigilia più temuti dal sottoscritto di quest'anno, Frank se la sarebbe giocata senza dubbio con i primi, grossi calibri da bottigliate come Under the skin o Nymphomaniac: film indie con musica alternativa come base, una vicenda molto weird e quel tipo di narrazione senza un vero e proprio filo logico tipica dell'esaltazione da radical chic impersonata da un protagonista che, probabilmente, mi verrebbe voglia di prendere a badilate sulla testona finta ad ogni piè sospinto.
Eppure, nonostante certo non si parli di un film perfettamente riuscito, il lavoro di Lenny Abrahamson è riuscito a modo suo a conquistarmi nonostante tutto ciò che è stato appena scritto: non tanto per la chiacchierata performance decisamente inusuale di Michael Fassbender, per le canzoni eseguite nel corso delle riprese dagli attori o per la particolarità di alcuni passaggi, quanto più che altro per la capacità di descrivere e coinvolgere l'audience rispetto a quella che è la vita di una band, che di fatto - in tour o nel corso della registrazione di un disco - diviene di fatto una famiglia, con tutti i pregi e gli squilibri profondi del caso.
Il percorso del protagonista Jon - interessante sfruttare, e molto bene, il suo lato di loser anche in campo artistico, quasi la voglia e la passione non fossero neanche lontanamente bilanciate dal talento - all'interno dei Soronprfbs - nome non solo perfetto, ma anche decisamente affascinante -, il progressivo affermarsi e sentirsi riconosciuto - per una volta l'utilizzo dei social network in un film non mi è parso eccessivo o pacchiano - che prelude l'inevitabile caduta e la ricerca di un nuovo stimolo, di un finale giusto - ed anche in questo caso, nonostante le critiche all'evoluzione e all'epilogo del film, mi pare che la scelta operata sia stata la migliore possibile - è coinvolgente ed allo stesso modo repellente, quasi fossimo lo stesso Jon in perenne lotta con Clara, vera e propria eminenza grigia della band - ottima la Gyllenhaal -.
Dunque, per quanto non possa certo considerare le canzoni dei Soronprfbs come dei pezzi cult - tutt'altro, a dover essere sincero - e trovare assolutamente irritante il loro modo di porsi rispetto all'arte e al mondo - la vita "oltre confine" nel capanno in cui viene registrato l'album, la parola salvezza, i confronti davvero oltre il limite del grottesco tra Frank ed i suoi ragazzi -, la sensazione che mi pare resti e divampi attraverso il confronto tra Jon ed i suoi nuovi compagni di viaggio ha avuto il grande merito di permettere al sottoscritto di fare un passo oltre, comprendendo il bisogno di questo gruppo di squilibrati artisti di cantare il proprio amore a loro modo, senza troppi giri di parole o banalizzazioni esecutive, ed il confronto degli stessi con il main charachter - Jon, non Frank, sia chiaro -, un ragazzo mosso dall'ambizione che vorrebbe veder realizzati i suoi sogni senza fare troppi conti con doti certamente non impressionanti - splendido il passaggio in apertura con il tentativo di Jon di comporre mentalmente un brano basandosi su paesaggi, persone e situazioni incrociate in strada nel tragitto fino al luogo di lavoro -.
Con più probabilità, però, la cosa che ha permesso al sottoscritto di empatizzare con Frank e Jon e, dunque, andare oltre i difetti di questo film e tutte le caratteristiche che di norma finiscono per irritarmi è che dietro quella maschera ingombrante e quella voglia irrefrenabile di comunicare che caratterizzano i due volti di questa medaglia, ci sono i tentativi artistici di tutte le persone che vorrebbero o tentano per tutta una vita di guadagnarsi l'occasione pronta a cambiare loro la vita stessa, ma che, di fatto, per colpa o per Destino, o semplicemente per qualche incongruenza di tempi ed avvenimenti, non usciranno mai dal loro piccolo angolo di periferia - pur se artistica - dimenticata da tutti, forse anche da quelli che la abitano.
Frank e Jon sono due di quei novecentonovantanove che guardano affermarsi l'uno su mille.
E non possono fare altro che lottare, e lottare, per fallire.
Ed andarsene via quando si rendono conto che è troppo tardi.



MrFord



"You're just a little boy underneath that hat
you need your nerve to hide your ego - don't come with that
you think everything is handed to you free
but it's not that easy, no."
Amy Winehouse - "You know you now" - 



Interstellar

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Regia: Christopher Nolan
Origine: USA, UK
Anno: 2014
Durata: 169'





La trama (con parole mie): siamo in un futuro prossimo in cui la Terra, in ginocchio a seguito di cambiamenti climatici, vive una profonda crisi legata alle risorse alimentari. Cooper, un ex pilota vedovo diventato agricoltore che vive con i figli Tom e Murph, è convinto dal professor Brand, uno studioso alla ricerca di una soluzione che possa permettere all'umanità di scoprire un'alternativa di vita su un altro pianeta, a prendere parte ad una missione potenzialmente senza un termine che porterà l'equipaggio della nave dallo stesso Cooper condotta attraverso un wormhole vicino a Saturno dall'altra parte dell'universo, sulle tracce di un gruppo di scienziati partiti anni prima alla ricerca di risorse naturali su dodici corpi celesti diversi.
Separatosi a malincuore dalla famiglia, Cooper accetta nella speranza non solo di salvare l'umanità, ma anche di poter tornare a riabbracciare i suoi figli: riuscirà, insieme al suo equipaggio - compresa la figlia dello stesso Brand - ad attraversare Spazio e Tempo riuscendo nell'impresa?






 
Fin da bambino, per quanto negli anni delle superiori non sia certo stato una cima in fisica, l'astronomia ha rappresentato una delle mie più grandi passioni: ricordo ancora - e conservo gelosamente - "Il libro dell'astronomia", tomo di notevoli dimensioni regalatomi per Natale da mia zia quando avevo sette anni all'interno del quale si parlava ancora dell'esplorazione del Sistema Solare grazie alle sonde Voyager, forse le prime ad aver compiuto servizi completi sui pianeti esterni - per intenderci, tutto quello che si può trovare oltre Marte e la fascia degli asteroidi -, quando ancora Plutone non era stato "degradato" a semplice corpo celeste e probabilmente non si aveva idea di cosa fosse un quasar.
Ad alimentare questa passione "spaziale" del sottoscritto fu senza dubbio lo spirito al centro di una discussione tra Cooper ed uno degli scienziati al suo fianco nel corso della missione di salvataggio del mondo, ovvero quello che supera il concetto di studioso e libera l'ispirazione dell'esploratore: fondamentalmente, la scoperta dello spazio profondo e dei suoi silenzi infiniti non è altro che una versione clamorosamente più grande di quello che rappresentò la conquista degli oceani, e l'epoca dei grandi viaggi e dei loro protagonisti, da Magellano a Colombo. 
Seguendo questa linea di pensiero, il lavoro di Christopher Nolan con Interstellar è uno dei più emozionanti, sentiti e visivamente impressionanti che la sci-fi ricordi negli ultimi decenni, un viaggio prima di tutto emozionale e sentimentale che, di fatto, paragona le montagne russe del cuore all'idea di qualcosa di così grande da non poter essere neppure immaginato, l'Universo: un luogo all'interno del quale esistono fenomeni in grado di piegare addirittura il Tempo giungendo ben oltre quella che è la nostra comprensione attuale, e che a volte regalano brividi unici - i già citati quasar, ammassi di stelle pulsanti ai confini del cosmo, riescono a produrre una luce così intensa da essere visibili anche ai nostri telescopi, posti a miliardi di anni luce da loro, permettendo alle singole particelle di viaggiare e giungere a noi dopo un intervallo di tempo che ha avuto inizio quando ancora il Sistema Solare doveva ancora in qualche modo essere immaginato - che neppure la più sfrenata immaginazione visiva e cinematografica potrà mai rendere.
Ma Interstellar non è soltanto questo: è anche un comparto tecnico spaventoso, momenti di impatto enorme - dalle onde gigantesche al Gargantua, passando per Saturno -, mai come prima l'espressione della volontà di quello che, ad oggi, è forse l'erede principale insieme a J. J. Abrams dello Spielberg dei bei tempi, di trovare un punto d'incontro tra autorialità e Cinema popolare, nella speranza di concedere qualcosa ad entrambi e di conseguenza a se stesso.
Ed è un'opera a tratti troppo prolissa e derivativa - inevitabili i riferimenti a Contact, Signs, Inception, Europa Report, Solaris, Stargate e soprattutto l'inarrivabile 2001 -, in grado di regalare momenti di grande impatto emotivo e subito dopo incappare in scivoloni al limite del buonismo hollywoodiano più sfrenato - il confronto finale tra Murph e suo padre -, non sempre limpida a livello di script - ma, con un argomento di questo calibro a livello scientifico, è da mettere in conto - e solo parzialmente convincente a livello di casting - sprecati la Chastain e Affleck, compitino da sei politico per Caine e Lightow, fuori ruolo Damon ed il solo, ormai onnipresente McConaughey a tenere sulle spalle la baracca -.
Come prendere, dunque, Interstellar, attesissimo e celebratissimo ritorno di Christopher Nolan sul grande schermo?
Non come il Capolavoro che, personalmente, ancora attendo dal cineasta inglese, ma neppure come qualcosa di fallimentare o sbagliato.
Ci troviamo di fronte ad un grande prodotto realizzato da un professionista unico e di talento che, da buon illusionista, questa volta non è semplicemente stato in grado di lasciare a bocca aperta con un "prestigio" mozzafiato, quanto, più che altro, con un inganno costruito alla grande.
Eppure, lo spirito che anima questa pellicola ha qualcosa di grande, capace di lasciare non tanto a bocca aperta, quanto a cuore spalancato: è il sapore delle epopee e dei viaggi, lo spirito degli esploratori e dei naviganti, quel "non andarsene docili", "l'amore che muove il sole e le altre stelle", e che soprattutto muove noi, piccoli ed insignificanti esseri al cospetto di un Universo che sarà sempre così enorme anche solo da immaginare da risultare irresistibile e magico.
Perchè il brivido della conquista cresce esponenzialmente tanto più la conquista stessa appare fuori dalla nostra portata.
E l'Universo è ancora fuori dalla portata di Christopher Nolan.
Ma vi assicuro che vederlo tentare è stato come riprendere tra le mani il mio libro dell'astronomia e tornare ai tempi in cui, a sei o sette anni, sognavo un giorno di viaggiare tra quei mondi lontanissimi.
Il Tempo che si piega.
Ci riporta ad essere bambini per tornare al futuro.
E in quasi tre ore di spettacolo sentire il miracolo ed assaggiare la caduta.
La relatività del Tempo - sempre lui - e l'assolutezza della Gravità.
E non c'è Gravità con attrazione più forte dell'amore.
 
 
 
MrFord
 
 
 
"Parlami dell' esistenza di mondi lontanissimi
di civiltà sepolte di continenti alla deriva.
Parlami dell'amore che si fà in mezzo agli uomini
di viaggiatori anomali in territori mistici...di più.
Seguimmo per istinto le scie delle Comete
come Avanguardie di un altro sistema solare."
Franco Battiato - "No time no space" -
 
 
 
 

Jersey Boys

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Regia: Clint Eastwood
Origine: USA
Anno:
2014
Durata: 134'






La trama (con parole mie): nel cuore del Jersey della mala e della tradizione di origine italiana, Tommy De Vito accoglie, nel pieno dell'epoca d'oro a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta il giovane e promettente cantante - nonchè parrucchiere - Frankie Valli nel suo gruppo, con la speranza di trasformare in una professione effettiva la passione che guida lui ed i ragazzi che non vorrebbero dover scegliere tra una carriera criminale ed una da cittadino qualsiasi.
Quando Bob Gaudio, compositore e strumentista, entra nella band ed inizia il sodalizio creativo con Frankie, le cose cambiano: puntando il tutto per tutto su un nuovo nome, i giovani cantanti danno inizio ad una carriera che li condurrà dritti alla Hall of fame del Rock un successo dopo l'altro.
Ma il prezzo dell'immortalità e della fama dei Four Seasons sarà almeno in parte alto: le strade dei suoi quattro componenti, infatti, finiranno per prendere binari così diversi da dubitare che possano aver mai davvero costituito un gruppo.








Nel corso delle ultime stagioni cinematografiche, l'appuntamento con le nuove produzioni firmate dall'idolo fordiano Clint Eastwood è sempre stato un must per il quale annullare impegni e precipitarsi in sala, spinto dalla curiosità rispetto a quello che sarebbe stato il lavoro dietro e davanti alla macchina da presa del "texano dagli occhi di ghiaccio".
E in fondo, da Gran Torino ad Invictus, fatta eccezione per Changeling - che, per quanto ben realizzato, è stato l'unico film del vecchio Clint a non conquistarmi particolarmente -, tutto si è sempre concluso con un vero e proprio sentimento di ammirazione per questo grande Maestro del Cinema USA, il John Ford dei nostri tempi, un assetato di esperienza e di vita pronto a mettersi in gioco ogni volta come fosse la prima: rispetto a Jersey Boys, tratto da un musical di grandissimo successo a Broadway ispirato alla carriera ed alla vita di Frankie Valli, il timore di trovarsi di fronte  ad una sorta di progetto su commissione ha finito per prolungare oltre misura l'attesa, quasi temessi di affrontare una nuova esperienza come quella legata al già citato Changeling.
E, devo ammetterlo, almeno per i primi venti minuti di pellicola, ho temuto che potesse essere davvero così: Eastwood, ormai, muove la macchina come pochi altri, e conosce benissimo il suo mestiere, arrivando a confrontarsi anche con generi lontani da quelli che lo hanno formato riuscendo a settare standard qualitativi altissimi, scomodando paragoni con grossi calibri che, almeno sulla carta, dovrebbero a dispetto dell'età e per esperienza da cineasti metterlo comunque all'angolo - come Martin Scorsese, al quale lo "spietato" Clint pare essersi ispirato parecchio per la messa in scena di questo lavoro -, eppure l'impressione che si trattasse di un'operazione commerciale della Warner dirottata sulla mano esperta di Eastwood dopo il naufragio del primo progetto che avrebbe dovuto essere firmato da Jon Favreau era davvero ingombrante, almeno per il sottoscritto.
Ma l'ex pupillo di Siegel e Leone - che si concede perfino un'autocitazione dei tempi di Rawhide - sa come gestire il Tempo, e dunque, senza fretta, sequenza dopo sequenza, finisce per impadronirsi di una materia senza dubbio non sua - quella del musical - sfruttando l'esperienza recente nell'ambito del biopic - J. Edgar - ed omaggiando la Hollywood dei Grandi Studios con una classe impareggiabile, concedendosi nella seconda parte un crescendo clamoroso sia dal punto di vista della narrazione, sia rispetto alla profondità della riflessione sul Tempo, la Famiglia, le origini ed i valori americani - ma non solo - che da buon repubblicano non ha mai nascosto di rispettare.
In un certo senso, si potrebbe associare al regista la figura del sempre magnifico Christopher Walken, che come un vero boss d'altri tempi segue, protegge e cerca di aggiustare tutte le faccende che riguardano il suo favorito Frankie, uno dei cantanti più importanti della Storia della Musica americana, interprete unico e conosciuto dal grande pubblico anche quando le canzoni hanno finito per superare la fama del loro autore - sinceramente, io stesso sono rimasto a bocca aperta nello scoprire che brani coverizzati da generazioni di band ed artisti solisti siano eredità dello stesso Frankie e dei Four Seasons -: eppure, nonostante il denaro, il successo, la fama, la vita di Valli e dei suoi compagni non è stata semplice quanto potrebbe apparire.
Ed è proprio nel momento delle difficoltà che Clint sfodera le sue zampate migliori, riflessioni sull'esistenza e sul quotidiano che, inesorabilmente, formano caratteri e vite, e sull'amicizia, sulla capacità tutta umana di vedere le cose esclusivamente secondo il proprio punto di vista, sulle cadute ed i ritorni che rendono ogni esistenza speciale, unica, degna di una grande storia e di una grande colonna sonora.
E mentre i Four Seasons cantano "Walk like a man", Eastwood prende per mano lo spettatore e racconta cosa sono la crescita, la voglia di imparare sulla propria pelle e dai propri errori e quella di raccontare, di tramandare, di lasciare qualcosa a qualcuno - che si spera siano i propri figli -, il coraggio di accettare le sconfitte ed alzarsi, sempre, con la testa alta ma ugualmente pronti ad inchinarsi per ringraziare di quello che abbiamo avuto e chi ci sta, in una misura o nell'altra, applaudendo.
Ed anche di quello che, del resto è inevitabile, perdiamo lungo la strada.
Perchè siamo tutti Jersey Boys.
Qualcuno ce la fa, e qualcun'altro no.
Ma non per questo una storia - o un punto di vista della stessa - è meno importante di un'altra.



MrFord



"He said walk like a man
talk like a man
walk like a man my son
no woman's worth
crawling on the earth
so walk like a man my son."
The Four Seasons - "Walk like a man" - 





Thursday's child

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La trama (con parole mie): alle spalle le settimane dei lanci delle nuove pellicole di Nolan, dei Dardenne e targate Marvel, ecco sopraggiungere un weekend che promette, al contrario dei precedenti, di affossare senza se e senza ma l'umore di ogni cinefilo che si rispetti. Purtroppo per chi ne capisce di Cinema, infatti - e non sto parlando del mio rivale e co-conduttore della rubrica Cannibal Kid, ovviamente -, torna sul grande schermo una delle teen-saghe più inutili del passato recente, Hunger Games, che vale e varrà la pena solo ed esclusivamente grazie alla presenza sempre più che ben accetta di Jennifer Lawrence.
Per il resto, sarà probabilmente noia.

Cannibal e Ford tra una quarantina d'anni, ancora nel pieno del loro idillio bromantico.
Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I


Cannibal dice: Jennifer Lawrence si è lasciata con Chris Martin?
Libidine.
Arriva un nuovo capitolo di Hunger Games?
Doppia libidine.
Ford odierà questo episodio della saga young adult teen fantasy preferita dal sottoscritto ancor più dei precedenti splendidi capitoli?
Libidine coi fiocchi!
Ford dice: se non ci fosse di mezzo Jennifer Lawrence, credo avrei abbandonato la serie teen più inutile degli ultimi anni più o meno dalla metà del primo film. Poco male: vorrà dire che mi rifarò gli occhi con lei preparando le consuete bottigliate.

"Peppa Kid, stavolta ti infilzo come un pollo allo spiedo!"
Scusate se esisto!


Cannibal dice: Scusate se Ford esiste, ma non ci posso far niente. Dio, o più probabilmente Satana, l'ha creato e quindi ce lo dobbiamo tenere. Così come ci dobbiamo tenere queste commedie italiane che, soprattutto a ridosso del periodo natalizio, si affollano sempre più numerose nei multisala. Di film con protagonista Paola Cortellesi ne ho visti un paio, Sotto una buona stella e Nessuno mi può giudicare, che mi sono sembrati meno male del previsto, però la voglia di vedermi questo è comunque a livelli bassini. Molto bassini.
Ford dice: scusate se Cannibal esiste, prometto che prima o poi riuscirò a mettere fine a tutte le vostre sofferenze, e anche alle sue. Nel frattempo, cercherò di risparmiarmene evitando come la peste quest'ennesima robetta italiana.

"Ford, Cannibal: non siamo per niente soddisfatti delle vostre opinioni a proposito del nostro film. Proprio per niente."
I toni dell'amore - Love Is Strange


Cannibal dice: Love Is Strange parla della relazione tra due uomini anziani. No, non è la storia di Ford e Cannibal. Io sono giovane! I due protagonisti sono invece John Lithgow, uno degli attori più inquietanti di sempre qui alle prese con un ruolo almeno apparentemente più dolce, e Alfred Molina, che di solito non mi piace ma che qui chissà non mi sorprenda. A meno che non affoghi nel buonismo e negli stereotipi, potrebbe trattarsi di una commedia romantica davvero singolare e da non perdere.
Ford dice: pensavate si trattasse dell'atteso film a tematica gay con protagonisti Ford e Cannibal? Ancora no! Per quello dovremo attendere che il Cucciolo smetta di temermi e decida di dividere il set con il sottoscritto.
Nel frattempo questa potrebbe perfino essere la sorpresa della settimana.

"Ford, sei contento di esserti finalmente sposato con la tua nemesi?""Peccato che qui in Italia si siano dovuti aspettare cinquant'anni!"
My Old Lady


Cannibal dice: In una settimana che vede arrivare il film young adult più atteso dell'anno, da me e non solo, ecco che arriva anche il film old adult più atteso dell'anno, da Ford e da lui solo. Fin dal titolo, My Old Lady si preannuncia come il trionfo della terza età. My Old Ford, lo so che sei eccitato per questa pellicola, ma attento a non farti venire un infarto!
Ford dice: ennesimo film sul filone terza età che nonostante si adatti al sottoscritto pare più una robetta per signore buona per Katniss Kid piuttosto che una figata expendable perfetta per il vecchio Ford. Non resta, dunque, che saltare anche questa volta a piè pari. Magari sulla schiena del Cannibale.

"Mamma, mettiti il cuore in pace: sei troppo giovane per Ford, al massimo puoi avere qualche speranza con Cannibal!"
These Final Hours


Cannibal dice: Dall'Australia, terra prediletta del mio blogger rivale che finge di esserci stato anche se io non ci credo, arriva questo film fantascientifico/psicologico che spero possa stare più dalle parti di Another Earth che non dalla robe apocalittiche alla Michael Bay. Sento forte puzza di fordianata, e non è un buon odore, però qualche sorpresina ce la potrebbe riservare.
Ford dice: l'Australia, terra prediletta del sottoscritto, sforna quella che potrebbe rivelarsi la tamarrata della settimana. Buon per me, e spero male per Cannibal, che se lo sciropperà auspicandosi il meglio e finirà per trovarsi di fronte la più classica delle da lui tanto odiate fordianate.

"Quello stronzo di Ford mi ha preferito Jennifer Lawrence: ma come si permette!?"
Adieu Au Langage - Addio al linguaggio


Cannibal dice: Il maestro della Nouvelle Vague Jean-Luc Godard ha 80 suonati, eppure li porta meglio di quel vecchio rimba di James-Luc Fordard. Questo suo nuovo esperimento cinematografico si preannuncia come qualcosa di troppo radical-chic persino per me, però allo stesso tempo potrebbe essere una visione affascinante. E soprattutto potrebbe portare alla definitiva esplosione della testa (vuota) dell'autore di WhiteRussian.

Ford dice: Godard ha tutto il mio rispetto, davvero. Un grande della Nouvelle Vague, e del Cinema. Ma fin troppo radical chic da sempre. E se con l'età, di norma, si peggiora, figuratevi cosa potrebbe significare buttarsi a capofitto in quella che pare essere una delle visioni regine del radicalchicchismo di quest'anno. La lascio volentieri a Radical Kid. E spero sia un addio.

"Questo film sarà una vera prigione, per quel tamarro di Ford. Sarà contento Peppa."

Il pianeta delle scimmie

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Regia: Franklin J. Schaffner
Origine:
USA
Anno: 1968
Durata:
112'






La trama (con parole mie): l'astronauta George Taylor ed il suo equipaggio, in viaggio verso lo spazio profondo, si pongono in uno stato di animazione sospesa che possa permettere a tutti loro di superare la prova del Tempo e giungere dove nessun umano era mai stato prima.
Precipitati su un pianeta dalle caratteristiche molto simili alla Terra e perso un membro, i tre superstiti si troveranno a lottare per la loro sopravvivenza e libertà in un mondo governato da scimmie umanoidi che, di fatto, ricoprono un ruolo terribilmente simile a quello che sulla Terra hanno sempre ricoperto gli umani.
Quando le vicissitudini di questa nuova sfida porteranno alla morte anche gli altri due compagni, Taylor si troverà a doversi affidare alla studiosa locale Zira per poter riconquistare la propria individualità: ma sarà soltanto per andare incontro ad una sorpresa terribile.









Non troppo tempo fa, ancora freschi di visione del recente e controverso - almeno per quanto riguarda le recensioni che l'hanno avuto come oggetto - Apes revolution, io ed il mio fratellino Dembo ci trovammo nel bel mezzo di una passeggiata al parco con bimbi al seguito da bravi padri di famiglia a chiacchierare a proposito della prima pellicola che originò il successo ormai rispolverato del brand dedicato al futuro dominato dalle scimmie: in quell'occasione fu proprio il mio succitato ed inseparabile compare a giungere in casa Ford con l'omaggio del bluray di quella pellicola datata millenovecentosessantotto, più simile nel suo approccio alla sci-fi alle visioni del Kubrick di 2001 o dei b-movies di Bava che al gusto per l'eccesso e del larger than life attuali, pronto a giurare che la visione valesse non solo più di quelle dei due ultimi capitoli del "brand" - anche se, ormai, varrebbe più parlare di reboot, o ispirazione -, ma anche della maggior parte dei titoli di genere attualmente in circolazione in sala.
Ed effettivamente, ancora una volta, finisco per dare ragione al mio fratellino.
Il pianeta delle scimmie, a quasi cinquant'anni dalla sua realizzazione, trova ancora non solo un significato ben preciso ed una collocazione, ma risulta - con tutti i limiti realizzativi e di espressione del caso - assolutamente attuale se non addirittura visionario nell'affrontare tematiche che, pur rinnovandosi, all'interno della nostra società continuano ad avere un significato profondo e ben preciso e fornendo allo spettatore la giusta dose di tensione legata allo svolgimento della storia di Taylor fino al clamoroso - anche se intuibile -, disperato finale, tra i migliori che la fantascienza di questo tipo abbia mai regalato al suo pubblico.
Certo, vanno messi in conto all'opera di Schaffner una certa retorica molto USA - che, comunque, ha spesso e volentieri il sapore di non troppo celata critica - ed un approccio, in termini di svolgimento e di mezzi, assolutamente naif per lo standard attuale e forse anche quello di allora, eppure l'insieme risulta coeso ed avvincente, non banale - il ribaltamento sociale delle parti tra uomo e scimmia risulta credibile ed in un certo qual modo verosimile -, in grado di tenere ancora inchiodati alla poltrona dal primo all'ultimo minuto: la struttura resta quella del film didattico - in un certo senso, le moderne imprese di Caesar, per quanto evidenti, non sono subordinate ad una sorta di monito da indirizzare alle platee, al contrario di quelle di Taylor, interpretato dal discutibile, umanamente parlando, Charlton Heston - che potrebbe addirittura indispettire i più radical o i meno avvezzi ad un approccio all'apparenza così poco moderno di una pellicola, così come i dialoghi tra il protagonista umano ed i suoi carcerieri pronti a condurre l'audience al drammatico confronto nell'aula di tribunale, teatro di una sorta di sfida quasi filosofica simile a quella che precede la battaglia conclusiva.
La tematica, poi, cara alla fantascienza classica, che conduce Taylor all'agghiacciante scoperta dell'epilogo - che non rivelo per evitare spoiler nel caso in cui qualcuno decidesse di vederlo per la prima volta - è funzionale e resa al meglio: un occhio esperto potrebbe riuscire ad intuirlo in anticipo, eppure l'idea di abbandonarsi completamente e vivere le vicende dell'astronauta esule nella loro parte più d'azione funziona almeno quanto riflettere non tanto sul fatto che siano le scimmie a dominare il pianeta sul quale gli uomini giungono, ma che la loro società apparentemente avanzata nasconda falle di sistema pronte ad esplodere alla prima variabile impazzita.
Un pò quello che accade anche da queste parti, sulla Terra.
La nostra Terra.
E chissà poi fino a quando.



MrFord



"Big gorilla at the L.A. Zoo
snatched the glasses right off my face
took the keys to my BMW
left me here to take his place."
Warren Zevon - "Gorilla you're a desperado" - 





Criminal minds - Stagione 9

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Produzione: CBS
Origine: USA
Anno:
2013/2014
Episodi: 24

 

La trama (con parole mie): la squadra del BAU capitanata da Hotchner prosegue nelle indagini che la conducono da una parte all’altra degli States seguendo piste che portano i suoi componenti alla scoperta di efferati delitti ed inquietanti serial killers.
Seguiti da un nuovo referente interno dell’FBI e come sempre pronti a sacrificare anche gran parte della loro vita privata per rendere più sicure quelle dei comuni cittadini, Rossi, Morgan, Reed, Garcia, Blake e JJ si troveranno a confrontarsi con abissi sempre più profondi all’interno della psiche umana e perfino con la corruzione di un’intera stazione di polizia.
Riusciranno ad uscirne indenni, e soprattutto a guarire dalle ferite invisibili che il lavoro di profiler lascia?






Da anni, ormai, Criminal minds rappresenta, qui in casa Ford, il meglio che i serial televisivi “di massa” possano offrire quando si tratta di materia da morti ammazzati, una spanna sopra le innumerevoli incarnazioni di CSI e tutti i prodotti nati a seguito del successo di quest’ultimo.
Senza dubbio non stiamo parlando di qualcosa che possa raggiungere il livello di Capolavori come TwinPeaks o pietre miliari come il recente True detective, eppure il lavoro svolto attorno e sui membri dell’Unità comportamentale di Quantico continua ad essere solido e perfetto per un intrattenimento a tutto tondo, con la sua buona dose di tensione, azione e riflessioni postume: al nono giro di boa, dunque, Criminal minds continua ad uscire bene dalla visione, senza stancare e, soprattutto, mantenendo intatto l’interesse del pubblico per i suoi protagonisti – interessante notare come, nel corso di quest’annata, quasi tutti gli attori si siano cimentati anche come registi di singoli episodi – e la loro evoluzione – nella parte centrale della season spiccano, infatti, puntate incentrate sull’uno o l’altro membro del team, le loro scelte, il passato o il futuro -.
Come se tutto questo – ed il bene che io e Julez continuiamo a volere al titolo in questione – non bastasse, nel corso dei ventiquattro episodi si trovano almeno quattro degni di essere annoverati tra i migliori della serie, in particolare i due – peraltro appaiati – dedicati alla famiglia che si ritrova sotto indagine per i cadaveri sepolti nel giardino della sua proprietà e alle telefonate anonime cui fanno seguito le sparizioni e gli omicidi di bambini, vere e proprie chicche non soltanto di entertaiment puro – come in questi casi dovrebbe essere – ma di ritmo e soprattutto domande che sorgono a visione conclusa.
Per un appassionato di profiling e serial killer come il sottoscritto, e da padre – cambia davvero tanto la prospettiva rispetto alla vita e ai suoi risvolti più drammatici, una volta genitore – trovarsi a riflettere su sistemi più o meno massimi grazie a quella che è considerata – ed è da considerare – come una serie popolare ed assolutamente senza pretese alte è segno della grande validità della serie stessa, sempre pronta non solo ad appassionare e proporre casi che possano catturare l’attenzione ma anche a ricordare al pubblico, occasionale e non, quanto ancora esista di sconosciuto a proposito della parte più oscura della nostra anima, la stessa all’interno della quale albergano, hanno albergato ed albergheranno le pulsioni che portano individui in tutto e per tutto simili a noi – almeno all’apparenza – in predatori che, in base ad un personale ed insindacabile giudizio, del Destino o di chissà cos’altro, finiscono per disporre delle loro vittime neppure si trattasse di antiche divinità o improvvisati messia.
Accanto ai pensieri suscitati dagli argomenti trattati – sviscerati con altro piglio ma partendo da riflessioni simili dal già citato True detective – rimane la curiosità rispetto a quello che accadrà alla squadra ora coordinata da un supervisore che lascia ai suoi membri una libertà sicuramente maggiore rispetto a quella concessa dalla donna che l’aveva preceduto - Erin Strauss, morta alla fine della stagione precedente – e a seguito dell’abbandono di uno dei suoi membri, che lascia aperti nuovi spiragli per il futuro e per new entries – o comeback – sulla carta decisamente interessanti.
Senza dubbio, Hotchner e soci continueranno a battere i sentieri più oscuri della psiche.
E con altrettanta sicurezza, qui al Saloon continueremo a seguire le loro orme.




MrFord



"My mother was a witch, she was burned alive.
Thankless little bitch, for the tears I cried.
Take her down now, don't want to see her face
all blistered and burnt, can't hide my disgrace."
Metallica - "Am I evil?" -



Mike Nichols (1931 - 2014)

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So long, Laureato.



MrFord



"Vedi, è come se partecipassi a un gioco con delle regole che per me non hanno senso: perché le ha fatte della gente sbagliata. No, anzi: non le fa nessuno. Sembra che si facciano da se stesse."
da Il laureato (1967)





Ford on V-Quadro

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La trama (con parole mie): la giornata di domani segnerà un piccolo avvenimento per il Saloon. Grazie ai ragazzi dell'ottima V-Quadro, infatti, questo vecchio cowboy esordirà, di fatto, in radio, seppur letto dalle voci decisamente più interessanti dei protagonisti di questa realtà unica nel suo genere. Seguite dunque queste nuove avventure lungo la Frontiera grazie alle trasmissioni di questi nocchieri dell'etere a partire dalla (re)visione di quello che è un vero e proprio cult del Cinema e della Musica, il Rocky Horror Picture Show.






Così come per il Cinema e le scoperte che è in grado di riservare, in questi anni la blogosfera è stata una vera e propria miniera di stimoli personali, dagli esperimenti legati alle recensioni di lavori firmati da giovani registi alle collaborazioni esterne: l'ultima in ordine di tempo ad esordire su queste pagine sarà quella con V-Quadro, network radiofonico che, come fosse uno scatenato bartender dietro un bancone di saloon, si diverte ad assemblare cocktails composti da settima arte e musica.
A dare una mano in questo processo il qui presente vecchio cowboy, che con la giornata di domani segnerà il suo esordio in questo nuovo mondo, al lavoro sui testi che verranno interpretati proprio nel corso delle trasmissioni: se doveste capitare da quelle parti, o avete voglia di scoprire una nuova incarnazione fordiana ed una realtà interessante come quella di questa radio, allora correte a consultare i seguenti link, in modo da partire con una base perfetta per l'ennesima sbronza che queste parti si preparano a sponsorizzare.
Appuntamento dunque a domani con uno dei pezzi da novanta dei musical di tutti i tempi: il Rocky Horror Picture Show.


MrFord


Sito:  www.v-quadro.com
 
 
 
 
 
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